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La vita in un attimo

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VOTO: 5.5

Infine, l’amore

Certi film, lo sappiamo bene, non riescono a sopportare il peso delle loro ambizioni. La vita in un attimo di Dan Fogelman pare infatti un’opera schizoide che viaggia su due binari. Nel primo si adagia a velocità di crociera l’apparato teorico, quello che vede la scomposizione del racconto secondo il punto di vista di vari personaggi che finiscono con l’incastrarsi in un’unica, enorme, vicenda esistenziale. Nel secondo, quello che poi risulta decisivo per le sorti del film, si accavallano troppe vicende fuori controllo, messe lì appositamente per creare artificiose emozioni le quali finiscono con il provocare un deleterio effetto di saturazione nello spettatore, peraltro pure inficiate da una morale sin troppo semplicistica. Del resto, dal creatore della popolare serie televisiva This Is Us il rischio di concentrare i tanti eventi tipici della serializzazione in un lungometraggio di nemmeno due ore era ampiamente preventivabile. Un’ulteriore testimonianza, insomma, di quanto possano risultare distanti le due metodologie di lavoro: ciò che magari funziona sul piccolo schermo non può essere trasportato di peso sugli schermi cinematografici senza colpo ferire.
Eppure La vita in un attimo – più significativo il titolo originale Life Itself, cioè la vita in se stessa come accadimento imprevedibile nella sua unicità – è ben organizzato, narrativamente parlando, con la sua brava divisione in capitoli ognuno dedicato, per l’appunto, ai vari personaggi che animano l’opera. Nel primo segmento, quello maggiormente riuscito, troviamo Will (Oscar Isaac, anche qui con qualche conto in sospeso con Bob Dylan come in A proposito di Davis dei fratelli Coen) e Abby (Olivia Wilde), coppia innamoratissima in attesa di un erede. Ma qualcosa è successo, perché il plot inquadra Will in medias res, alle prese con un trauma di quelli impossibili da superare. Attraverso un procedimento squisitamente tarantiniano – il classico Pulp Fiction viene citato apertamente nella sequenza in cui la coppia si abbiglia come John Travolta e Uma Thurman nel suddetto film, replicandone movimenti e situazioni – nonché ad un prologo dal sapore psicoanalitico che già in sé racchiude tracce inequivocabili di dramma, arriviamo ad una tragica verità da non rivelare a chi legge. Anche perché La vita in un attimo non può davvero essere catalogata nel genere commedia romantica: piuttosto pare, in alcuni frangenti, una tragedia esistenziale in continuo divenire, condita da isolate tracce di amara ironia di stampo woodyalleniano sia pur accompagnata ad un fastidioso retrogusto dolciastro di fondo. Alla maniera di Charlie Kaufman, ma senza la sua sopraffina capacità di immedesimazione psicologica nei personaggi, ci si addentra in interrogativi del tipo “ogni narratore è bugiardo, ma forse è la vita stessa ad esserlo, in fondo” cercando pure di fornire una risposta. Senza lasciare nulla alla sospensione riflessiva dello spettatore, si viene così “aggrediti” da un’infinita catena di lutti compiuti o appena evitati, esistenze che mutano per inesplicabili capricci del Destino. Con l’Amore, quello con la maiuscola, a fungere da metaforica luce alla fine del lungo tunnel denso di amarezze e prostrazioni assortite.
Una conclusione assai moralistica che rende La vita in un attimo un’operazione fondamentalmente irrisolta per il suo giocare, a livello sentimentale ed emotivo, a carte sin troppo evidentemente scoperte. Inutile sottolineare come un maggior senso della misura avrebbe senz’altro migliorato le sorti dell’opera. E tuttavia, in questa nostra contemporaneità dove tutto è così urlato e sopra le righe, anche La vita in un attimo potrebbe raccogliere i suoi estimatori. Ma le emozioni che mette in mostra sono di seconda mano, prive di quella purezza necessaria a far scaturire, spontaneamente, la commozione in chi guarda. Non era impresa facile da compiere, comunque.

Daniele De Angelis

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