Un reportage sulla Romania
La pellicola Fixeur è una ulteriore buona opera per tastare con gli occhi e la mente che molto del nuovo cinema rumeno sta operando bene nel costruirsi una filmografia attenta verso la propria società, oltre che proporre validi argomenti riflessivi. Il merito della riuscita di quest’opera, e anche quello di ampliare qualitativamente tale “corrente cinematografica”, è di Adrian Sitaru, uno dei più interessanti autori di questa “nouvelle vague” romena. Nato a Deva nel 1971, è autore soprattutto di cortometraggi, ma con Fixeur e il coevo Illegittimo ha dimostrato di saper destreggiarsi anche con storie più articolate.
Fixeur, presentato al Bergamo Film Meeting 2018, è basato su un fatto realmente accaduto a Adrian Silisteanu, fidato direttore della fotografia di altre opere di Sitaru, che ha scritto la sceneggiatura assieme a Claudia Silisteanu. La vicenda reale, cioè un episodio di prostituzione minorile, nella finzione funge da gravoso sfondo per raccontare altri due argomenti complessi, cioè il dilemma morale nel lavoro e l’abuso che ne potrebbe conseguire. Tale racconto diviene quindi un percorso di formazione etica, in cui il protagonista si (auto)inoltra in questa turgida storia per poi alla fine uscirne beneficiato. L’attaccamento del reporter Radu a tale scabroso scoop non è per una profonda questione morale, ma è dettato dalla sua “smania” per mettersi in luce, un suo modo per eccellere con un reportage che può raccogliere grande risonanza. Il granitico attaccamento alla precisione di Radu, e alla conseguente brama di successo, ci vengono mostrati sin dall’inizio, con lui teso e attento, e con il cronometro in mano, a controllare le prestazioni del bambino della sua compagna mentre gareggia in piscina. Tale eccessivo atteggiamento scomparirà solo quando si troverà di fronte alla cruda realtà con la prostituta adolescente Anca, e al suo scatto di rabbia, che gli fa capire l’immoralità che può comportare certa informazione giornalistica.
Però Fixeur non è solamente un racconto morale sull’individuo umano, ma è anche un “documentario” sulla società contemporanea che circonda questi individui. La Romania è uno stato abbandonato a se stesso dopo il crollo del Comunismo, che annaspa in una palude colma di incertezze etiche e mancante di una forte struttura sociale. A Sitaru sono sufficienti una manciata di scene per mostrare come il paese sia ancora corrotto (e lo fa attraverso la figura del cugino di Radu, caricatura di traffichini in doppio petto romeni), e di come la violenza sia ancora molto presente (i due energumeni che spaventano Anca). Oltre a mostrare l’ignoranza della povera gente (la mamma di Anca non si è preoccupata molto della scomparsa della figlia). Per mostrare questa desolazione e solitudine del presente di Anca e della realtà tutta della Romania, Sitaru utilizza una severa panoramica di 360º gradi, che ricorda la solitaria e controllata panoramica creata da Michelangelo Antonioni per il finale di Professione Reporter.
E restando sulla circolarità, Fixeur ha proprio una narrazione “circolare”, perché parte da uno spicchio di vita privata di Radu (il cronometraggio in piscina) ripreso con una rigida panoramica, e si chiude nello stesso ambiente, con l’abbraccio finale tra Radu e il bambino, ripresi con inquadrature più libere e ariose. Fixeur, quindi, è un racconto morale senza fronzoli, con una sceneggiatura costruita solo di momenti essenziali, e su questa base narrativa la regia di Sitaru si muove allo stesso modo, e a tratti questa fiction, sembra visivamente un “reportage” che studia il comportamento di un individuo che deve affrontare un dilemma morale. Detto ciò, certamente Fixeur non mostra una completa compattezza nella costruzione narrativa e la descrizione di certi personaggi è troppo caricaturale (il reporter francese, il vecchio giornalista romeno o il poliziotto), però sa essere incisiva con alcuni tocchi nella descrizione di tale realtà contemporanea.
Roberto Baldassarre