Vi riporterò a casa
Essere poveri è una colpa? Essere ai margini della società è una colpa? Tutte noi persone civili, buone ed evolute saremmo pronte a dire di no. Eppure, se succede che chi non può difendersi, chi è finito ai margini resta vittima di un sopruso, noi non reagiamo, guardiamo da un’altra parte perché non vogliamo problemi, perché seguiamo tutti, in fondo, il vecchio motto: “fatti gli affari tuoi che campi cent’anni”. Poi capita che la vittima di un sopruso non chini la testa, ma lotti; e allora la sosteniamo nella sua giusta lotta, salvo dimenticarcene in fretta. Il regista serbo Srdan Golubović sembra deciso a porsi ed a porci le soprascritte domande nel suo ultimo lavoro, questo Father (in originale Otac) in concorso nella sezione lungometraggi del 32° Trieste Film Festival.
Una della voci più interessanti del cinema serbo contemporaneo, che sulla Serbia ed i suoi guasti già molto ha detto, Golubović rimane coerente con la sua filmografia e, come nel precedente Krugovi (2013), parte da una storia vera per parlarci di disuguaglianza e corruzione nella Serbia odierna. Nikola, un dolente ma sempre dignitoso Goran Bogdan, è il protagonista di una piccola storia che diventa grande e che in sé racchiude molti dei problemi che oggi affrontano le repubbliche balcaniche. Per certi aspetti il protagonista di questo film ci ha molto ricordato il protagonista di Galaktika e Andromedes, un padre in guerra per la sua famiglia. Schiacciato ed ignorato dal sistema, solo, abbandonato, il padre fa del suo meglio, anche se non sembra bastare.
Qui siamo più dalle parti del dramma di denuncia sociale. L’intento del regista è chiaro, denunciare un sistema profondamente bacato, nel quale abusi e malversazioni sono all’ordine del giorno.
La regia è essenziale, forse per lasciare più spazio alla storia. Una vicenda nella quale si avverte, nonostante l’asciuttezza del tono registico, l’afflato epico del grande romanzo popolare alla Michael Kohlhass pur nella sua disperata ordinarietà. Il regista pare volerci interrogare, chiederci conto della nostra indifferenza. È un pugno che Golubović sferra al nostro stomaco questo film; ma non chiude totalmente alla speranza. Sì il sistema è corrotto e ineguale, a Nikola viene fatta una colpa di essere in fondo alla scala, ma egli non è totalmente solo, trova alleati, insperati e partecipi, anche all’interno del sistema. Come se il regista, in fondo, condividesse le parole del camionista che offre un passaggio a Nikola lungo la strada e gli regala una piccola icona benedetta. Dio non ti abbandona, ma ti aiuterà in modi inaspettati. E questo fa di Otac un film profondamente spirituale e profondamente balcanico. Esiste il bene, esiste il male. Esistono persone buone ed esistono persone cattive. Noi non dobbiamo mai perdere la speranza, dobbiamo continuare a lottare, perché solo così cambieremo le cose e renderemo il mondo un posto decente dove vivere. La scena finale ci sembra un invito a crederlo.
Luca Bovio