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Denmark

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VOTO: 6.5

Diventare adulti

Ciò che colpisce sin dai primi secondi di Denmark – opera prima di Kasper Rune Larsen – è la veridicità delle situazioni e quanta spontaneità si legge nelle reazioni dei ragazzi – a tratti anche fin troppa. Osserviamo le adolescenti mentre chiacchierano rinchiuse in bagno, intente anche ad effettuare il test di gravidanza; scherzano con la leggerezza propria della loro età, forse senza rendersi conto fino in fondo di cosa voglia dire un’altra vita. Tra loro c’è Josephine (Frederikke Dahl Hansen), la quale come conseguenza di una notte brava, è rimasta incinta. Impaurita da come potrebbero reagire i suoi genitori, decide di puntare su Norge (Jonas Lindegaard Jacobsen), di qualche anno più grande e impegnato nel volontariato insieme all’amico Myre (Jacob Skyggebjerg), con cui sogna di intraprendere la carriera musicale e la grande città – talvolta, però, la vita potrebbe “costringere” a mettere da parte i sogni. Con nonchalance si propone a casa sua, seducendolo e facendogli credere, subito dopo, che il bambino che porta in grembo è suo. La ragazza, giorno dopo giorno, si lega a lui (nonostante la messa in scena su un tasto così esistenziale) fino a quando qualcosa si spezza per poi riprendere il proprio corso – e giustamente vogliamo evocare e non svelare, qualora abbiate l’occasione di recuperarne la visione.
Per quanto si avverta l’influenza (anche inconscia) del cinema di Lars von Trier e del movimento Dogma, il giovane regista danese (formatosi alla scuola indipendente Super8) cerca una propria strada inseguendo la naturalezza della vita quotidiana, da cui traspare un’onestà di sguardo non scontata. A parte alcuni momenti in cui il tempo sembra quasi sospeso e la tensione si allenta, i dialoghi per lo più serrati aiutano ad immergersi nella realtà della gioventù danese, stando ben attenti a comunicare sentimenti che ci riguardano. Cosa vuol dire diventare adulti? Lo sanno molto bene i nostri protagonisti che portano sulla propria pelle le cicatrici di ciò che è accaduto e accade. La macchina da presa, con un approccio documentaristico li osserva, standogli addosso (si pensi alla scelta della camera a mano), ma con quella discrezione di chi vuole offrire un ritratto realistico dei giovani, lasciando parlare ed esprimere loro (anche solo con gli sguardi e i silenzi) e senza restituire l’idea che ciò che stiamo vedendo è frutto di sceneggiatura – a tratti sembra che molte scene siano frutto, infatti, dell’improvvisazione. Il regista lo ha definito come una «dichiarazione d’amore per la gioventù disperata» (non a caso i genitori, che dovrebbero essere dei punti di riferimento, sono in secondo piano, li conosciamo soprattutto attraverso lo sguardo dei ragazzi), che riesce a portare a termine grazie a una preziosa complicità con gli attori, i quali danno vita a dei giovani che non sempre hanno ben chiara quale sia la “buona condotta” (si cede alla promiscuità e all’alcool) e devono fare i conti con la difficoltà nel guardare al futuro.
Denmark è stato scelto come apertura della del Milano Film Festival 2018, dove ha vinto come miglior film nella sezione Concorso Internazionale Lungometraggi «per il coraggio della semplicità, la scrittura invisibile, la sincerità, il racconto di un amore senza romanticismo, perché sa parlare di sentimenti senza sentimentalismi. Infine, per l’ottima realizzazione del nulla» (dalla motivazione).

Maria Lucia Tangorra

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