Il Macbeth che è dentro di noi
La seconda giornata della 16ma edizione dell’Irish Film Festa si è aperta con la proiezione della black comedy Dead Man’s Money di Paul Kennedy, cui è seguito un frizzante Q&A con il regista e i due attori principali Ciaran McMenamin e Pat Shortt; di quest’ultimo, già protagonista di un incontro nella serata di apertura, in cui ha presentato la sua prima opera da regista, il cortometraggio Warts & All, possiamo citare la sua recente partecipazione a Gli spiriti dell’Isola di Martin McDonagh.
Come Shortt, anche Paul Kennedy è noto già come attore, soprattutto per la serie televisiva House of the Dragon; il suo esordio alla regia è del 2013 con Made in Belfast, sempre con interprete McMenamin, che è stato proiettato all’Irish Film Festa nell’edizione del 2014.
Dead Man’s Money è stato girato in Irlanda del Nord; un modo anche per esorcizzare i ricordi dei Troubles ed abbattere le barriere, essendo Kennedy e McMenamin nordirlandesi e Shortt irlandese di Tipperary. Caratteristica comune a tutta l’Irlanda, e che si rispecchia appieno nell’opera di Kennedy, è il dark humor; il suo Dead Man’s Money – La Ballata di Henry, Henry e della Vedova Tweed racchiude infatti tutto lo spirito irlandese puro, dal black humor alla ghost story, dalla tragedia rurale allo spirito comunitario, dai particolari gotici alla classica ambientazione da pub. Tranne alcuni esterni infatti, il fulcro della storia è tutto circoscritto nelle pareti del Kenny’s pub, forse il vero protagonista del film; in Irlanda il pub è più di un luogo dove bere e guardare la tv, è una seconda casa, un rifugio, un luogo dove confidarsi, cercare conforto, confessarsi, ed il Kenny’s pub è il centro della cittadina dove i protagonisti vivono e si muovono, uccidono e muoiono…
Un incipit del Bardo annuncia infatti la tragedia che sta per abbattersi sulla tranquilla cittadina rurale del nord dell’Irlanda: “Se tutto fosse fatto, una volta fatto, allora sarebbe bene che fosse fatto presto”. La citazione viene direttamente dal Macbeth, che ben sintetizza la storia di ispirazione shakespeariana scritta e raccontata da Kennedy con una sceneggiatura in stile fratelli Coen. Il giovane Henry Kenny (Ciaran McMenamin), spinto dalla moglie Pauline (Judith Roddy), vuol convincere lo zio, il vecchio Henry Kenny (Pat Shortt), a “mettere nero su bianco” un testamento a suo favore; ma l’imprevisto – nelle vesti glamour della Vedova Tweed (Kathie Kirie Clark), di cui il vecchio Henry si innamora – sembra essere un pericolo per la coppia. La soluzione è a portata di mano: l’aiuto dell’ex combattente ribelle dell’Ira Gerry (Gerard Jordan) per estirpare il problema alla radice. Ma per portare a compimento un piano che valica il confine della morale occorre essere amorali, o il senso di colpa porta poi tutto alla rovina. Come in Macbeth, la insinuante cupidigia della moglie Pauline porta il marito, dalla ridotta intelligenza emotiva, a compiere atti privi di scrupoli; la tragedia si consuma, l’elemento soprannaturale si palesa nelle apparizioni folcloristiche dei fantasmi, la verità si fa strada: irridente, canzonatoria, a mostrare la vanità di tutto ciò che è stato fatto.
Tra Shakespeare e i fratelli Coen, Dead Man’s Money – letteralmente i soldi di un uomo morto – è una tragedia classica vestita da black comedy in cui si fondono gli elementi tradizionali irlandesi: il dark humor, la ghost story, il senso di comunità. Nata come piece teatrale, come tale è stata girata: divisa in atti e cronologicamente, aumentando così l’intensità dei toni e dell’interpretazione con il dipanarsi della storia. La quasi unicità di location, il pub dei Kenny, ha reso possibile poi il low budget senza inficiare la qualità: notevole infatti la cura dei particolari e del set design, come ad esempio l’immagine del Cristo che viene coperta dal bancone quando il senso della morale viene meno (che Kennedy ha ripreso da una scena del Padrino – Parte II),
mentre l’alchimia tra i cinque ottimi attori protagonisti dona intensità e profondità all’intreccio noir che scorre con un ritmo costante svelandosi passo dopo passo sino alla rivelazione finale. E come in Macbeth, la distruzione è totale quando l’ambizione (o in questo caso l’avidità) non viene tenuta a freno da limiti morali.
Michela Aloisi









