Avere un Lori lento per amico
Se il cosiddetto “Indonesian day” ha avuto su di noi un impatto mediamente molto positivo, vi è un’altra delle giornate tematiche di questo 22° Asian Film Festival che ci ha profondamente suggestionato: il “Vietnam Day” andato in scena al Cinema Farnese martedì 15 aprile, con in programma tre opere dal notevole valore simbolico e narrativo ovvero Don’t Cry, Butterfly di Dương Diệu Linh, Viet and Nam di Trương Minh Quý e, per l’appunto, Cu Li Never Cries (Cu li không bao giờ khóc), lungometraggio d’esordio di Phạm Ngọc Lân premiato anche come miglior opera prima alla Berlinale 2024.
E di certo la personalità non manca, al giovane regista vietnamita, che giustamente alcuni hanno accostato al thailandese Apichatpong Weerasethakul per la visionarietà dello stile, per l’andamento rapsodico della narrazione e per certe immagini nella giungla dalla forte impronta simbolica.
Elegia in bianco e nero sparata nel Vietnam di oggi, Cu Li Never Cries possiede in ogni caso un tocco vintage, un’ironia lieve e un’incipiente malinconia che traspaiono da ogni inquadratura, contagiando lo stato d’animo di protagonisti a dir poco singolari. Centrale è ad esempio la figura di Mrs Nguyen, eccentrica signora che è tornata a vivere ad Hanoi dopo esperienze di vita importanti, tra cui un matrimonio, avute nella Germania dell’Est. Testimone di tali trascorsi è uno dei personaggi più amabili del racconto e cioè il “Cu Li” che troneggia anche nel titolo: un delizioso esemplare di Loris lento pigmeo, piccolo primate del sud-est asiatico dall’aspetto tenerissimo e dalle movenze rallentate, flemmatiche. La sua surreale presenza in scena dà il tono a più di un’inquadratura. Tutto il film, però, abbonda di momenti stralunati e stranianti, da cui deriva quell’atmosfera sospesa che contagia i rapporti umani come pure certi spaccati ambientali. In un serrato rapporto dialettico tra presente e passato, i ricordi di Mrs Nguyen vanno così a sovrapporsi all’imminente matrimonio della nipote Van, ragazza estremamente graziosa, nonostante una vistosa menomazione fisica che attrae l’occhio dello spettatore ma al contempo scivola lieve tra le scenografie, spesso bizzarre, di questo esotico racconto cinematografico, destinato non a caso a chiudersi nella foresta con un’insolita festa di matrimonio.
Le disavventure cui vanno incontro le ceneri del marito di Mrs Nguyen. Una sorta di svogliato “toy boy” che, per la già menzionata signora, sarà più che altro veicolo di autoanalisi. L’alquanto svampito e impacciato fidanzato di Van. La coccolosa e stravagante presenza al rallentatore dell’animaletto Cu Li. Tutti questi elementi dialogano tra loro in modo magari bozzettistico, ma venendo comunque a comporre un mosaico vivace, ammiccante, variegato e allusivo del Vietnam contemporaneo, nazione di sicuro spaesata, ma per certi versi ancora saldamente ancorata a quei gloriosi, sofferti trascorsi che all’ascolto di brani come The Ballad of Ho Chi Minh (noto un tempo anche in Italia, grazie al Canzoniere delle Lame) possono sempre riaffiorare, nella memoria collettiva, seppur con qualche comprensibilissima venatura grottesca.
Stefano Coccia









