Tutta colpa di Freud è «un prodotto godibile in maniera trasversale»
Tutta colpa di Freud di Paolo Genovese, nel 2014, aveva totalizzato in Italia al box office ben 7,9 milioni di euro. Effettivamente il plot ben dava adito all’immaginazione, stimolando nel pubblico, magari più di altri film, il background dei personaggi. Con questa consapevolezza e col tanto materiale scritto e fantasticato dagli autori del lungometraggio si è pensato di dar vita a un altro progetto, in questo caso seriale, in esclusiva dal 26 febbraio su Amazon Prime Video e, in autunno, su Canale5. «L’idea della serie è una commedia sentimentale al femminile: tre storie di ragazze viste attraverso il punto di osservazione privilegiato di un genitore, in questo caso di un padre divorziato che fa lo psicanalista», ha spiegato Genovese nelle sue note d’autore continuando «Non si tratta, però, di una serie sulla psicanalisi, né sulla terapia di coppia, Tutta colpa di Freud è una serie sulle differenze in amore e sulla difficoltà di accettarle. Il tono è quello della commedia all’italiana, quel meraviglioso genere che riesce a raccontare con leggerezza ma senza superficialità l’animo umano con tutti i suoi difetti, i suoi pregi ma soprattutto le sue emozioni e le fa arrivare dritte al cuore dello spettatore.
Tutta colpa di Freud è una commedia generosa, in senso lato, piena di attori fantastici, con una messa in scena di grande respiro, con location variegate e con una grande ricchezza di storie diverse che si intrecciano, ma sono tenute insieme dal filo rosso della difficoltà dei rapporti umani. Vuole essere una commedia divertente ma soprattutto emozionante, dove le emozioni portanti scaturiscono dall’archetipo dell’amore impossibile, impossibile per età, per orientamento sessuale e condizione umana ma che poi quando trionfa, trionfa davvero perché ha dovuto superare tanti ostacoli».
Tutta colpa di Freud: la sinossi della serie
Francesco (Claudio Bisio) è uno psicanalista milanese che da tempo concilia la professione con la non trascurabile condizione di padre single. La moglie Angelica (Magdalena Grochowska), fredda e determinata nordeuropea, non ha propriamente abbandonato lui e le figlie ma ha semplicemente pensato che Francesco le avrebbe cresciute meglio di lei, sempre impegnata in qualche battaglia ambientalista in giro per il mondo. Così lo psicanalista, tanto dedito ai suoi pazienti quanto alle sue bambine, ha fatto di tutto per farle diventare giovani donne consapevoli e indipendenti.
Quando le più grandi, Marta (Marta Gastini) e Sara (Caterina Shulha), vivono già fuori casa e la più piccola, Emma (Demetra Bellina), sta partendo per un anno di studio all’estero, Francesco ha però un attacco di panico talmente potente da fargli pensare di avere un infarto in corso e finisce al Pronto Soccorso. Come era prevedibile, sopravvive, ma la sera stessa si ritrova tutte e tre le ragazze di nuovo a casa e non per un filiale spirito da crocerossine. Infatti, per quanto abbia tentato di crescerle con metodo e sani valori, a Marta, Sara e Emma la situazione è chiaramente sfuggita di mano: la prima, assistente universitaria, porta avanti da cinque anni una relazione con il suo preside di facoltà (Luca Angeletti) ed è stata appena sbattuta fuori dalla casa, che lui le affittava, dalla moglie in persona; Sara, a una manciata di giorni dal suo matrimonio – che le crea più ansia che trepidante attesa – tradisce il fidanzato storico Filippo (Valerio Morigi) con Niki (Lana Vlady), una donna, celando a fatica una omosessualità che aveva già fatto capolino nell’adolescenza; infine Emma, appassionata e sagace influencer in erba, rinuncia a un anno di studio nel Regno Unito quando è già in aeroporto, complice l’incontro con il titolare di una famosa agenzia web (Claudio Malesci interpretato da Luca Bizzarri), decisamente molto affascinante nonostante i suoi cinquant’anni.
Così, da un giorno all’altro, Francesco assiste inerme al rientro delle sue figlie a casa. L’unico che sembra divertito dalla situazione è Matteo (Max Tortora), il vicino ormai amico di famiglia: un romano trapiantato a Milano che tenta da anni, senza sosta e con poco successo, di procacciare a Francesco qualche appuntamento galante. […] si fa prescrivere degli ansiolitici dalla giovane e talentuosa tirocinante incontrata al Pronto Soccorso (Anna Cafini incarnata da Claudia Pandolfi) e, dopo un po’ di resistenza, accetta il suo consiglio: iniziare assieme a lei un percorso di terapia. […]
Tutta colpa di Freud è una moderna commedia familiare che racconta la difficile condizione di uno psicanalista che, nonostante il successo sul lavoro, affronta con difficoltà la comunicazione con le figlie e la gestione dei loro problemi. Proprio come il calzolaio che va via con le scarpe rotte…
Abbiamo avuto la possibilità di assistere in anteprima ai primi quattro episodi (di otto in totale). Quello che possiamo dirvi, sulla base di questa parziale visione, è che la scrittura (sceneggiatura di puntata curata dallo stesso Genovese insieme a Chiara Laudani, Carlo Mazzotta, in collaborazione con Veronica Gallo) ha un ritmo molto incalzante, mantenendo fede allo spirito dell’opera iniziale, con un cast completamente mutato e ampliato. Ogni interprete è ben calato nella persona che deve interpretare – e spontaneamente viene da usare il termine persona al posto di personaggio poiché molte situazioni, tanto più sul piano dei rapporti umani, sono in grado di toccare e interrogare lo spettatore, oltre a strappare un sorriso – che male non fa, ancor più in questo periodo.
Tutta colpa di Freud: la conferenza stampa della serie
Con parte del cast, il regista Rolando Ravello e l’ideatore Paolo Genovese, nel corso dell’incontro stampa, è stato interessante approfondire alcuni punti chiave.
Purtroppo Claudio Bisio non ha potuto prendere parte, avendo contratto il covid (ci teniamo a riferire che i sintomi sono sotto controllo, a parte un po’ di febbre e tosse fastidiosa), ma i presenti hanno saputo ben raccontare il lavoro compiuto sui propri ruoli così come sul set.
D: Com’è nata l’idea della serie?
Paolo Genovese: Avevamo scritto una sceneggiatura lunghissima, che abbiamo dovuto adattare per il film; così tre anni fa, quando Mediaset cercava un family, abbiamo raccontato quest’idea. In più, dopo la realizzazione del lungometraggio c’era rimasta la voglia di farne una serie perché avevamo tanto materiale, anche per raccontare meglio le tre figlie. Tutta colpa di Freud ha avuto una grande accoglienza, è piaciuto molto e per questo era più facile farne una serialità. L’idea di base resta quella di un padre single con le tre figlie, poi però la serie si discosta molto dal film originale.
D: La serie presenta un certo ritmo di scambi di questa famiglia numerosa, con tutti i personaggi intorno, ho notato la precisa continuity perciò mi sono chiesto quante camere avessi utilizzato per i dialoghi così fitti nel momento in cui c’è un ‘chiacchiericcio’ generale?
Rolando Ravello: Giravamo con due macchine, ci siamo divertiti a improvvisare tanto e, in tal senso, dovevo inseguire quello che improvvisavano, quindi, spostare la macchina al volo e riprendere quello che avevano tirato fuori nel ciak precedente. Per il resto è stata fortuna.
D: Per Claudia Pandolfi: una volta la psicanalisi era considerata ‘roba da matti’, oggi la frequentano persino i giovani, talvolta giovanissimi: questo che tipo di riflessione ti ispira?
Claudia Pandolfi: Ho riflettuto a riguardo qualche anno fa, nel senso che penso che sia uno strumento fondamentale per riuscire a risolvere qualcosa nella vita se proprio vogliamo risolverci un pochino c’è bisogno di un confronto e spesso la persona che hai davanti è sì un professionista preparato, ma il fatto che sia un estraneo è veramente salvifico poiché non è coinvolto. Io stessa ho fatto un percorso di psicanalisi, francamente lo consiglio. Facciamo un lavoro abbastanza particolare per cui dovremmo essere ‘costretti’ a fare un lavoro di introspezione.
D: Rolando, qual è il tuo rapporto con la psicanalisi in relazione alla serie?
R. Ravello: Sono andato in analisi fino a poco prima del covid e credo (aggiunge con la sua ironia) di aver ‘sventrato’ il mio analista. La battuta più bella me l’ha fatta un mio amico al telefono perché si parlava di Freud – che in questo contesto storico trovo antiquato per quanto sia sempre il papà dell’analisi – e mi diceva: è curioso che non ci sia nessuno psicologo terapista famoso che venga dai paesi tropicali.
D: Per P. Genovese: è una serie TV esportabile come quelle americane e di molti altri Paesi come Spagna Grecia, Turchia, Israele. Si tratta di un ‘effetto Amazon’? Come l’hai pensata?
P. Genovese: L’idea, immagino per qualunque autore, è sempre quella di scrivere un prodotto assoluto, esportabile e che, quindi, abbia la possibilità di essere compreso nelle dinamiche ovunque. Su questo il tema di Freud aiuta: dinamiche familiari, sentimentali e delle tre figlie sono comunque tematiche assolute, poi ovviamente dipende dal taglio, dalle parole e dalle situazioni che vai a cercare. Abbiamo provato a non raccontare cose strettamente legate al nostro Paese soprattutto nelle dinamiche umoristiche. Io penso che sia un prodotto godibile in maniera trasversale ovunque e che non sia particolarmente italiano. Amazon dà questa possibilità di farsi vedere all’estero e, in ogni caso, vale la pena pensare a una scrittura che sia internazionale.
D: Per Genovese: perché non hai deciso di dirigere anche la serie?
P. Genovese: Penso sia importante cambiare punto di vista, mi piaceva vedere come qualcun altro mettesse in scena l’idea avuta e come la raccontasse in maniera diversa. L’avevo già affrontata quella storia, mi sarei un po’ seduto. In più Rolando è un regista estremamente capace nel raccontare le relazioni umane, le emozioni, tutto quel mondo che è Freud e quindi, avendo questa abilità, secondo me, per un autore è molto stimolante vedere come qualcun altro rappresenta le tue storie piuttosto che raccontarle per la seconda volta.
D: Chloe, il personaggio interpretato da Alice Arcuri, parlando con Claudio Malesci/Luca Bizzarri, definisce quello di Demetra come senza scrupoli e molto ambiziosa. Effettivamente Emma cerca la sua strada in un mondo spinoso come quello delle influencer, tu l’hai vista così?
Demetra Bellina: Non la definirei senza scrupoli, ha molta inventiva e fantasia e riesce a ottenere quello che vuole. È un pregio. Non fa del male a qualcuno, trova delle soluzioni alternative a delle cose che sembrano senza soluzione ed è una forma d’intelligenza.
D: Marta, al terzo episodio il tuo personaggio sta iniziando una sorta di evoluzione perché incontra tal ‘Riccardo Cuor di Leone’, un bellissimo ragazzo che dice di essere un avvocato (Giuseppe Spada). In che modo si evolve il suo rapporto sapendo che esce da una relazione che probabilmente l’ha oppressa parecchio?
Marta Gastini: Si evolve in maniera un po’ lenta, è un po’ insicura. Lei è sulla carta la figlia perfetta poi in realtà è quella che fa sempre la scelta sbagliata. In questo caso non compirà la scelta sbagliata perché finalmente questo ragazzo può darle quello che sta cercando: l’amore. Marta ricerca qualcosa di stabile, non l’aveva trovato nella relazione precedente che, senza spoilerare, non le faceva bene e lo potrete capire anche da come si vestirà negli episodi successivi.
D: Come mai si è scelto di ambientarla a Milano e non a Roma come il film?
R. Ravello: È stato un modo per differenziarsi dal lungometraggio; ma soprattutto raccontare una città come Milano è quasi desueto – ormai quasi tutto si gira o a Roma o in Puglia. Girare a Milano ha consentito l’ingresso nella serie di un personaggio curioso come Max Tortora, il quale neanche si conosceva con Claudio, sono riusciti a raccontarci Milano e Roma in modo un po’ diverso, sornione direi, raccontando con piccolissimi elementi ed ironia le differenze che ci sono tra queste due grandi città come l’indolenza romana o la fretta milanese. Sono stati fantastici, hanno costruito una coppia comica incredibile.
Max Tortora: Dal primo giorno abbiamo lavorato come se ci conoscessimo da anni, ci divertiamo molto quindi abbiamo scoperto tutti e due l’amore per l’improvvisazione – ci tengo a precisare che si può improvvisare soltanto quando qualcuno ha già messo per terra un bel tappeto dove si può camminare.
D: Genovese ha dichiarato che l’idea della serie è una commedia sentimentale al femminile per cui vorrei chiedere alle attrici cosa pensano che lo sguardo registico di Rolando Ravello e la scrittura e la supervisione artistica di Genovese siano riusciti a far emergere di loro come interpreti e dei loro personaggi in rapporto a quelli maschili?
C. Pandolfi: Già il fatto che sia stato scritto un mondo femminile che ruota attorno ad un uomo è un po’ inconsueto, gli avete concesso un amico maschio, ma per il resto Caramelli/Bisio è circondato da donne e da dinamiche femminile: già questo mi sembra una peculiarità importante da non sottovalutare. Per quanto mi riguarda sul set Rolando mi ha permesso di essere completamente libera e, come diceva Max, è una libertà che ti è concessa quando intorno a te hai un recinto ben tracciato, all’interno del quale ti puoi muovere bene e puoi anche proporre. Tutto questo è molto liberatorio e interessante, ti permette di sperimentare e giocare tanto. Abbiamo fatto delle cose abbastanza sul filo, accadeva nell’immaginazione però noi lo rappresentava, quindi rimanere su questo confine tra la realtà, l’immaginazione e la comicità è stato davvero stimolante.
Caterina Shulha: Mi aggiungo a quello che ha detto Claudia e vorrei ringraziare Rolando di un aspetto: quando ho finito di vedere le puntate, a parte le inquadrature che sono bellissime, il montaggio, le musiche, la supervisione di Paolo sui testi e tutto quanto, Rolando è riuscito a fare una grandissima cosa: farci diventare una famiglia e questo si vede sia nelle puntate che dal vivo. Eravamo liberi di lavorare in una serenità e tranquillità che ho incontrato pochissime volte sul set.
D: La serie vuole dar voce a storie d’amore ‘non convenzionali’?
R. Ravello: Direi che questo ‘non convenzionali’ non esiste perché se continuiamo a pensare così siamo a ‘caro amico’.
[gli fa eco] C. Pandolfi: Pensa alla tristezza di un’amore come convenzione, intesa come sociale forse? Ben venga tutto ciò che mostra le possibilità infinite che ci sono dietro all’amore.
R. Ravello: E comunque le possibilità infinite nei confronti dei gradini che la vita ti fa salire ogni giorno, dove c’è uno rotto, a un certo punto ce n’è uno in legno, l’altro in marmo.
D: Esiste l’idea di uno spin-off e/o di una seconda stagione?
P. Genovese: Ci auguriamo una seconda stagione. Qualunque serie parte con la volontà di continuare a raccontare la storia di questi personaggi; poi ovviamente dipenderà da quanto il pubblico si affezionerà, a noi andrebbe di farlo.
D: Luca, hai affermato che il tuo ruolo di guru creativo del marketing è molto distante da te, se avessi avuto l’opportunità o magari l’avrai in futuro di interpretare uno psicanalista, lo vedresti più vicino?
Luca Bizzarri: Sì perché ne ho frequentati molti di più.
D: Citando una battuta: avere la forza di cercare la propria felicità. Si può dire che questa professione vi abbia aiutato in questa direzione?
C. Pandolfi: C’è un aspetto terapeutico nel nostro lavoro, ho usato il nostro mestiere per avere una risposta a quella domanda ed avere la forza di continuare a cercare la felicità.
D. Bellina: La felicità viene e va, la vivo come una ricerca all’interno di se stessi.
C. Shulha: Questo lavoro, è quello che voglio fare nella mia vita, ti butta giù e ti riporta sù; ti aiuta a pensare se è veramente quello che vuoi e a pensare come poter riuscire in quello che potrebbe renderti felice.
M. Gastini: All’inizio, per me, è stata una salvezza, era una necessità, da bisogno si è trasformato in un mestiere quindi c’è stata anche l’urgenza di creare più strumenti per la professione. Tra una fase e l’altra è stato complicato perché lì c’era la scelta: lo voglio fare davvero oppure era solo qualcosa che mi serviva per fare un salto di crescita e lì ho deciso che desideravo farlo davvero, farlo diventare la mia vita.
L. Bizzarri: La felicità non me la darà mai il mio lavoro nel senso che è una professione. Alle volte, quando sei giovane e quando hai un sogno, pensi che la sua realizzazione ti regalerà la felicità; quando poi lo realizzi ti accorgi che quella felicità non è emersa dal lavoro, la devi trovare da un’altra parte, non nella soddisfazione personale, ma è una cosa un po’ più difficile da trovare, magari fosse così facile…
Maria Lucia Tangorra