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Collector

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VOTO: 5.5

Occhio per occhio, dente per dente

L’esattore Artur è un asso nel suo mestiere: lavora solo con grandi debitori, scopre i loro segreti e li usa contro di loro. Non ricorre mai a metodi banali, il suo strumento è l’attacco psicologico. Ma quando su Internet compare un video compromettente che lo vede coinvolto, è Artur stesso a diventare un bersaglio: amici e colleghi gli voltano le spalle, la sua reputazione e anche la sua vita sono in pericolo. L’esattore ha solo una notte per trovare chi lo ha messo con le spalle al muro.
La sinossi di Collector è di quelle capaci di attirare l’attenzione del potenziale spettatore come un’autentica calamita. Di conseguenza, la curiosità e le aspettative nei confronti dell’opera prima di Aleksej Krasovskij, presentata nella sezione Sguardi Russi della 53esima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, non potevano che essere elevate. La possibilità di confrontarsi con un kammerspiel contemporaneo caratterizzato da un’unita spazio-temporale chiamata a dettare le coordinate topografiche e cronometriche, ci ha fatto ben sperare di ritrovarci nuovamente al cospetto di un thriller psicologico in stile Locke o Buried. L’impostazione del resto è la stessa dei film di Steven Knight e Rodrigo Cortés, con un uomo alle prese con una corsa contro il tempo che deciderà il suo destino. E anche le regole del “gioco” sono le stesse, con il telefono e internet come unici strumenti di comunicazione con l’esterno. Nessun contatto fisico, ma solo vocale e telematico, con una serie di nemici e “amici” invisibili. Il ring designato per il “combattimento” non è, però, un SUV lanciato ad alta velocità sull’autostrada, tantomeno l’interno di una bara sotterrata sotto tonnellate di terra da qualche parte del globo, ma un ufficio all’ultimo piano di un grattacielo di Mosca. Qui va in scena un tutti contro uno senza esclusione di colpi bassi, doppi giochi e voltafaccia, con il malcapitato di turno che dovrà fare tutto ciò che è in suo possesso per togliersi dal pantano dove è stato gettato.
Dietro questo thriller high-tech c’è una critica piuttosto evidente al Sistema capitalista e al potere distorto dei mezzi di comunicazioni odierni, a cominciare dai social. Purtroppo questa critica abbandona quando non dovrebbe la via della ferocia per abbracciare quella della morale a buon mercato e della redenzione. L’esordio del cineasta russo perde, infatti, consistenza e forza quando, nel cambiare rotta, sceglie di non percorrere più la linea dura e cinica che aveva caratterizzato la prima parte del film. Tutto si sgonfia e scoppia come una gigantesca bolla di sapone, lasciando nello spettatore l’amaro in bocca delle grandi occasioni perse.
Se non fosse proprio per questi ultimi sciagurati venti minuti, con i quali Krasovskij vanifica quanto di buono fato vedere nella prima ora e che risuonano come un campanello d’allarme che annuncia l’arrivo di un epilogo meritevole di essere dimenticato, probabilmente staremmo qui a parlare di Collector con ben altri termini. Ma ciò che è fatto è fatto e indietro non si può tornare, tantomeno resettare il tutto. Di conseguenza, sul giudizio finale pesano le scelte drammaturgiche e le svolte buoniste prese dal cineasta russo a 2/3 della timeline, che parcheggiano l’opera appena al di sotto della linea di galleggiamento della sufficienza. Davvero un gran peccato, perchè l’idea di partenza, seppur non originale, poteva dare origine a una pellicola di altissima tensione dai risvolti inaspettati. Purtroppo, così non è stato, poiché la tensione viene bruscamente interrotta e la linea mistery che sorregge il plot indebolita da risvolti narrativi prevedibili e facili. Ciò che resta è una prova maiuscola dell’unico attore in scena, ossia il sempre all’altezza Konstantin Chabenskij.

Francesco Del Grosso

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