Alla conquista del proprio posto nel mondo
Siamo alla fine dell’Ottocento e l’atmosfera da Belle Époque la si respira in ogni dettaglio (nota di merito ai costumi curati da Andrea Flesch), a partire dal fermento culturale e dalle riflessioni sull’arte. «Quello che volevamo fare», ha evidenziato il regista Wash Westmoreland «era far risaltare gli elementi moderni della storia, e mostrare l’impatto delle nuove tecnologie. Il nostro obiettivo era di fare un film che fosse ambientato nel passato ma che permettesse al pubblico moderno di sentirlo vicino, come nel presente, e quindi l’eccitazione legata alle invenzioni e alle nuove idee è palpabile, così come anche la sensazione che Parigi era il centro del mondo, dove fiorivano queste personalità artistiche incredibili».
Da un anno all’altro Sidonie-Gabrielle Colette (Keira Knightley ne veste perfettamente i panni) passa dalla campagna francese (che rimarrà un elemento centrale) alla vita di città, in cui le prime teatrali e le serate mondane sono all’ordine del giorno. Il tutto avviene, com’era usanza, grazie all’unione con Willy (Dominic West), un ambizioso impresario letterario ed è proprio quest’ultimo a spingerla a coltivare un talento già messo in nuce dai tempi della scuola, la scrittura. Il punto nodale – e ben in linea col tempo – consiste nel fatto che tutto ciò avvenga nell’ombra poiché il primo racconto viene pubblicato sotto il nome di Willy. La protagonista dei romanzi, Claudine, diventa una vera e propria icona per tutte le coetanee – e non solo – e probabilmente è proprio questo a condurre Colette al primo moto di orgoglio (in parte questa donna ricorda Mary Shelley.
Colette, co-sceneggiato dal regista di Still Alice insieme a Richard Glatzer e Rebecca Lenkiewicz, riesce a tratteggiare molto bene il rapporto di potere che si instaura all’interno della coppia e le dinamiche tanto assodate in quegli anni per cui Colette si batte sia come artista che come donna. È molto interessante come emerga l’aspetto catartico del personaggio creato dalla penna della scrittrice, spetta proprio a Claudine farla riflettere sull’identità, su chi voglia essere – coadiuvata anche dall’importante incontro con Mathilde de Morny, la Marchesa di Belbeuf detta “Missy” (Denise Gough) – scoprendo anche altri campi in cui mettersi in gioco (fu attrice di music-hall
Dopo esser stato presentato in selezione ufficiale al 36esimo Torino Film Festival, il lungometraggio arriva nelle nostre sale con Vision Distribution dal 6 dicembre ed è un’occasione per riflettere anche sull’essere donna oggi.
«Non si arrendeva mai, continuava sempre per la sua strada», ha rilevato il regista britannico. «Ha trovato la forza di scoprire la sua voce artistica, e vi rimase fedele. Cerco di imitarla in questo, il che mi ha fatto imparare molto. La vita di Colette è una grande fonte di ispirazione e penso che storie come la sua possano cambiare il mondo. Sento che Colette sia molto in sintonia con il movimento #metoo, perché parla di una donna che è stata capace di superare l’oppressione e di rivendicare la propria voce: il parallelo è ovvio».
Maria Lucia Tangorra