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Ci vorrebbe un miracolo

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VOTO: 7

Un pesce fuor d’acqua

Giocare in casa è sempre un vantaggio, ma Davide Minnella e la sua opera prima dal titolo Ci vorrebbe un miracolo di favori in tal senso non ne hanno affatto bisogno, perché hanno tutte le carte in regola per farcela da soli. Così la presentazione in quel di Conversano, durante la 14esima edizione del Salento Finibus Terrae, diventa un’altra bellissima e importante occasione di visibilità per una pellicola che, al contrario di quelle avute nel fortunato tour nel circuito festivaliero nazionale e non che l’ha vista protagonista dal 2013 ad oggi (Mention Speciale Jury Jeune alle Journées du Cinéma italien de Nice 2015, Premio Migliore Lungometraggio Italiano al Rome Independent Film Festival 2014 e Premio “Piquadro” del pubblico alla miglior opera prima a Maremetraggio 2014), di opportunità al cinema in questi quasi tre anni dalla sua realizzazione non gliene sono state concesse. Ben vengano allora una proiezione come quella nella prima tappa del prestigioso festival itinerante pugliese, che consente al pubblico e agli addetti ai lavori di poterlo recuperare.
Il regista firma una docu-fiction in odore di mockumentary, caratterizzata da un mix di vero e falso, reale e artefatto, che il più delle volte si mescola senza soluzione di continuità, rendendo impercettibile la linea di confine fra gli opposti. Il cineasta pugliese, fresco vincitore di numerosi riconoscimenti con il cortometraggio Il potere dell’oro rosso, non risparmia frecciatine e fendenti a nessuno, passando attraverso un’inchiesta semiseria, tra inquinamento e superstizione, incentrata sull’avvelenamento del pesce nei nostri mari. Un tema serio e piuttosto spinoso che Minnella affronta con i toni e i colori di una spassosa commedia on the road, consumata tra le strade, i vicoli, le onde e i porti della provincia barese. Ne viene fuori un plot nel quale l’autore trova anche degli spazi per scivolare narrativamente in altri sottotesti, meno incisivi e interessanti (il coraggio di prendere delle decisioni, l’importanza dei legami familiari, l’influenza che i mass media possono avere sull’opinione pubblica), ma comunque ben collocati nell’architettura dello script e mai motivo di distrazione rispetto alla linea principale del racconto, ossia l’inchiesta giornalistica dei due protagonisti.
Per farlo segue le (dis)avventure giornalistiche di Elena Di Cioccio, ex Iena e conduttrice da copertina, approdata in Puglia per registrare una nuova trasmissione televisiva dedicata alla natura. Siamo dalle parti di Giovinazzo, cittadina che ha dato i natali a suo padre (Franz Di Cioccio, batterista della PFM) e dove, da bambina, ha trascorso intere estati con una famiglia di cui ha perso il ricordo. Ma i ricordi ci scovano nei modi più impensati, nel caso di Elena si tratta addirittura di un funerale. Suo padre, costretto a Milano, la obbliga a partecipare al funerale del vecchio zio Pio ed Elena si trova catapultata così in una realtà sconosciuta e coloratissima. A cominciare dal cugino Gianluca, un assurdo filmmaker che ha il sogno di entrare in tv. Gianluca ha fatto di sua cugina un idolo, una di cui seguire le tracce e, ritrovandosela accanto, fa di tutto per coinvolgerla nel suo progetto: un’inchiesta sui mali che avvelenano il Mediterraneo. Elena, è il caso di dirlo, è un pesce fuor d’acqua in quella realtà, ma poco a poco si lascia convincere dalle buone intenzioni del cugino e si decide a indirizzarlo verso una pista concreta. Eppure, nessuna delle tracce che seguono riesce a spiegare perché il pesce sia letteralmente scomparso dai mari della costa pugliese E il mistero s’infittisce. Un giorno, i pescherecci che rientrano al porto, riversano sulle banchine quintali di materiali di merchandising religioso. Si tratta di un miracolo, o, addirittura, di un perverso effetto dell’inquinamento? A questo punto le strade di Elena e Gianluca si dividono: lui vorrebbe la priorità su quella notizia, lei, professionista, è costretta a soffiargliela. Ma intanto la pesca miracolosa continua e il porto di Giovinazzo viene invaso dai giornalisti.  E mentre tutti cercano una spiegazione razionale, i più razionali di tutti sono i pescatori, che decidono di mettersi a vendere quella nuova merce. Il porto si trasforma così in meta di pellegrinaggio, ma quando la verità viene a galla…
Rimanendo ancorati a tempi più recenti e alla cinematografia tricolore, quando si tratta di miracoli o presunti tali, la mente torna a film come Il miracolo di Edoardo Winspeare o a I baci mai dati di Roberta Torre; entrambi in bilico tra verità e mistificazione. Ci vorrebbe un miracolo segue le stesse traiettorie, ma per scoprire la verità che si cela dietro la fantomatica pesca miracolosa l’unica cosa da fare è riuscire a vedere il film di Minnella, a nostro avviso ancora immeritatamente privo di una distribuzione nelle sale nostrane, nonostante i buoni riscontri ottenuti ai festival. Quello che si manifesta davanti agli occhi dello spettatore di turno è una divertente commistione di generi e di linguaggi, che va a confluire in una timeline scorrevole e ritmata. Il risultato è una piacevole visione dove è piuttosto frequente imbattersi in spunti drammaturgici e tecnici degni di nota, comprese le due parentesi canore che entrano a gamba tesa quando meno te li aspetti.

Francesco Del Grosso

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