In una terra non così lontana
Una frase di apertura che, da sola, riesce a descrivere bene che tipo di film andremo a vedere. Presentato in concorso al 38° Mix Festival, dedicato al cinema Lgbtq+ e cultura Queer, questo Chuck Chuck Baby riesce a tratteggiare un’intensa storia minima di scoperta sentimentale. Diretto e scritto dall’inglese Janis Pugh, qui al suo secondo lungometraggio dopo The Befuddled Box of Betty Buttifint (2014), il film ci porta nel de-industrializzato Galles del Nord, dove incontriamo Helen (Louise Brealey), impegnata in una vita agra e senza sbocchi. L’incontro con Joanne (Annabel Scholey), vecchia cotta adolescenziale, metterà in moto tutta una serie di nuove possibilità. Come suggerisce la frase in apertura, la pellicola, pur aderendo alla realtà contingente, adotta un tono favolistico, con inserti musicali che danno un tono quasi da musical. Tuttavia, Pugh non si lascia mai trascinare in un tipo di narrazione patinato. Gli inserti musicali, infatti, sono inseriti in modo da fungere da soliloqui atti a mostrarci l’interiorità dei personaggi principali. Fin dalle primissime sequenze, con una citazione velata a Forrest Gump, l’opera, inoltre, si contraddistingue per una sua versione di realismo magico, dato proprio dal tono delicato e quasi favolistico unito agli intermezzi musicali. Il tutto unito in quello che potremmo definire una dramedy, ovvero un dramma dai toni leggeri. Un tipo di narrazione che appartiene a certo tipo di cinema inglese e che annovera film come Grazie Signora Tatcher di Mark Herman, o anche Full Monty di Peter Cattaneo. Uno dei temi di fondo favoriti, poi, è la difficile situazione della working class britannica, che annaspa da decenni in seguito alla pesante de-industrializzazione voluta dai governi presieduti da Margareth Tatcher. Il discorso è presente anche qui, con le protagoniste che si muovono tra i resti della cultura industriale gallese; tuttavia, il contesto sociale è relativo e dato per scontato. Il fulcro, infatti, è il piccolo mondo di relazioni e sentimenti che ruota intorno a Helen. In una pellicola popolata quasi esclusivamente da figure femminili, in cui gli uomini o sono assenti o sono inutili se non dannosi, Janis Pugh tratteggia una delicata storia di sentimenti tra figure comuni, la cui quotidianità viene sconvolta in positivo dalla nascita dell’amore. Il film dell’autrice inglese riesce a centrare il punto di rimanere in equilibrio tra storia intima e denuncia di come l’omosessualità sia ancora vista con sfavore in molte frange della società anche grazie ad un cast davvero azzeccato. Louise Brealey risalta riuscendo a dare corpo ad un personaggio sfiorito che poco alla volta ritrova la gioia di vivere. Annabel Scholey riesce a trasmettere tutta la sofferenza interiore di chi è costretto a crescere in un ambiente che lo rifiuta. Alle due, poi, si somma un cast di comprimari che, con i loro caratteri, confermano il lustro della scuola recitativa inglese e tra i quali spicca la partecipazione di lusso di Sorcha Cusack, la cui Gwen, pur con poche scene, riesce a brillare sullo schermo.
Luca Bovio