Il mostro visto con gli occhi delle donne
Charlie Says. Charlie dice. Charlie è Charles Manson, e questa è la sua storia vista attraverso gli occhi delle sue donne. Le donne della Manson Family, comunità hippie che ruotava intorno a lui, ben presto rivelatasi una setta a lui devota. In particolare, quelli di Leslie Van Houten, detta Lulu, Patricia Krenwinkel detta Katie e Susan Atkins detta Sadie, le tre “Manson’s Girls” coinvolte nei suoi efferati crimini e condannate dalla giustizia americana prima alla pena di morte e successivamente, con la sua abolizione, all’ergastolo. E gli occhi spettatori di Karlene Faith, ricercatrice ed assistente sociale che opera nel carcere femminile dove le tre sono rinchiuse e che ottiene di lavorare con loro per cercare di deprogrammarle dall’influsso di Manson.
Presentato in anteprima al 39° Fantafestival, Il lungometraggio di Mary Harron alza il velo su una delle storie più scioccanti e mediaticamente conosciute degli Stati Uniti d’America, quella di Charles Manson e la sua setta, autori del brutale assassinio di nove persone, tra cui l’attrice Sharon Tate; e lo fa portando lo spettatore alle origini, nel cuore stesso della setta, attraverso i racconti delle tre ragazze nel braccio della morte per gli omicidi commessi su suo ordine, ancora succubi di Manson e delle sue parole, che ripetono quasi come un mantra.
Il film presenta inizialmente la Manson Family come una comunità hippie, simile ad altre della seconda metà degli anni ’60, dove il libero amore e l’uso di stupefacenti attraggono giovani di ogni estrazione; ma ben presto la sua natura di setta si esprime nel totale controllo da padre padrone di Manson, mascherato da una illusoria libertà di comportamenti, e nel suo spingere gli adepti a ‘liberarsi’ superarando il proprio ego, in realtà per soddisfare quello dello stesso Manson ed affermare cosi la sua supremazia. In effetti, la Manson Family p.c., ‘prima dei crimini’, come le ragazze stesse definiscono quel periodo, sembra funzionare bene per tutti. Sarà il rifiuto del produttore Terry Melcher (figlio di Doris Day) a produrlo musicalmente, e quindi il fallimento dei propri sogni di gloria, a scatenare il mostro, e a fargli trascinare il proprio gruppo in un crescendo di follia.
L’originalità di Charlie Says risiede proprio nel mostrare cosa c’è dietro, i rapporti all’interno della Manson Family, il carisma soggiogante di Manson e soprattutto il ruolo delle donne: dai racconti di Katie Lulu e Sadie, infatti, emerge una forte sorellanza che unisce le ragazze della setta. Una versione in parte femminista della storia, diremmo; ma le donne sono una parte fondamentale della storia di Manson, e il film, in cui le tre Manson Girls raccontano la loro versione della storia ad un’altra donna, è stato scritto e diretto da due donne, la regista Mary Harron e la sceneggiatrice Guinevere Jane Turner. Quest’ultima, oltre ad una accurata documentazione, ha attinto anche alla sua esperienza personale di ragazza cresciuta in un culto; gli undici anni passati con la famiglia al seguito della comunità di Mel Lyman.
Quello che non risalta nel film è il lato oscuro e malvagio di Manson, descritto qui più come un uomo dall’ego prepotente, che sottomette uomini e donne del clan indifferentemente e che perde il controllo quando viene messo in discussione; Manson diventa un assassino come reazione al fallimento dei suoi sogni di gloria, quasi una estremizzazione della sua perdita di controllo. Una scelta voluta dalle autrici, sottolineata anche dalla scelta di Matt Smith come protagonista, che aiuta non poco in questo senso; noto soprattutto per esser stato l’undicesimo Dottore in Doctor Who, perfetto e carismatico quanto basta in quel ruolo, con una interpretazione tutta giocata sul personaggio simpatico e un po’ buffo, toglie qui al ruolo di Manson la sua maleficità.
Michela Aloisi