Home AltroCinema Cortometraggi e video Carne e Polvere

Carne e Polvere

60
0
VOTO: 7.5

Prima e dopo la pioggia

Sono sufficienti dieci minuti scarsi di durata al giovane cineasta calabrese Antonio La Camera per (ri)creare un micro-cosmo in grado di assumere una valenza simbolica di assoluta rilevanza a proposito dell’atavico rapporto tra l’essere umano e la Natura. Un cortometraggio, intitolato Carne e Polvere, dove vengono stabiliti con precisione millimetrica i rapporti di forza. I quali erano, sono e saranno, sempre paurosamente sbilanciati a favore della seconda.
Innumerevoli lavori cinematografici hanno trattato il quintessenziale argomento. Basterebbe, a puro titolo di esempio, scorrere la filmografia di un Terrence Malick per comprendere appieno l’importanza di un’armonia quasi possibile tra le due entità. Tutto verte sulla capacità di adattamento dell’Uomo. Rispetto, in primo luogo. Pazienza, in seconda istanza. Attendere che Madre Natura sfoghi i propri umori. Per poi ricominciare daccapo, nel nome di una ciclicità dove l’Uomo può essere solamente parte di un ingranaggio assai più complesso. Antonio La Camera – il quale ha diretto, montato e superbamente fotografato il suo cortometraggio – conduce lo spettatore ad ammirare uno spettacolo, tutt’altro che privo di inconsapevole crudeltà, antico quanto la storia del mondo: il contadino che prova a “domare” la terra per viverne dei suoi frutti. Non accade nulla, almeno in apparenza. Accade invece tutto, nella sostanza. Superato un iniziale sospetto di pronunciato estetismo – si faceva poc’anzi cenno ad una confezione di abbagliante bellezza, in generale spesso in grado di distogliere l’attenzione dalla mancanza di contenuti – si penetra all’interno di un racconto tipicamente umanista, in cui il pathos è sempre vissuto in soggettiva, con lo sguardo spettatoriale a sovrapporsi empaticamente a quello del protagonista. Il quale è interpretato dal padre dell’autore, Giovanni. Una sorta di complicità, di condivisione di sorte che si avverte anche dall’altro lato del profilmico. Una scelta a proprio modo radicale, quella di svelare un micro-universo che Antonio La Camera dimostra di conoscere molto bene, legando indissolubilmente cielo e terra con l’uomo “ostaggio” di esse. La perseveranza nella fatica. La pioggia violenta che arriva a danneggiare parzialmente il raccolto. Il dover ricominciare, nell’ostinazione che, prima o poi, domare il cavallo selvaggio riservi una qualche forma di soddisfazione e compensazione. Un tema che, da personale nella sostanza, si può invece leggere in tutti i suoi strati simbolici. Con un solo protagonista sulla scena, nessuna parola viene pronunciata nel corso di Carne e Polvere. Si assiste in silenzio alla reiterazione di un rito, una messa laica che celebra un matrimonio da farsi in qualunque modo, perché l’istinto di sopravvivenza avrà sempre la meglio fino a quando le forze assistono l’individuo. E per sopravvivenza si intende il raggiungimento dello scopo che chiunque si prefigge. Con massima ostinazione.
Complice anche l’utilizzo, da parte di Antonio La Camera, nella colonna sonora extra-diegetica delle composizioni di Jonny Greenwood, Carne e Polvere ricorda molto da vicino il magnifico incipit dell’altrettanto meraviglioso Il petroliere (There Will Be Blood, 2007) di Paul Thomas Anderson: la lotta contro un nemico tanto grande quanto invisibile diviene la spinta per il superamento dei propri limiti. E poco importa, a quel punto, se l’altezza della metaforica asticella da superare varia di situazione in situazione; il tutto assume, infatti, un’importanza relativa dal momento che ogni persona è inserita in un determinato contesto. E in esso deve, giocoforza, vivere. Conoscendo se stesso attraverso il proprio habitat di riferimento.
Lo spettacolo naturalistico – in senso lato ma non solo – di Carne e Polvere, si arresta su un dettaglio delle mani, segnate dagli sforzi e sporche del fango della terra, dell’unico personaggio in scena. La telecamera le guarda. Il regista le guarda. Il contadino le guarda. Lo spettatore le guarda. Il senso della lotta in solitudine diviene percezione condivisa a molteplici livelli; rendendosi, per qualche attimo, la condizione basica di qualsiasi essere umano. E, anche se ci rifiutiamo di ammetterlo, sappiamo che è così.

Daniele De Angelis   

Articolo precedenteSingle ma non troppo
Articolo successivoFuocoammare

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

otto − 1 =