I cugini di campagna
La vitalità e le risorse espressive del cinema rumeno contemporaneo non finiscono mai di sorprendere. E a ogni vetrina festivaliera che si rispetti si ha qualche nuova conferma di ciò. L’ennesima riprova di una cinematografia in stato di grazia è venuta, qualche mese fa, dal 40° Bergamo Film Meeting, laddove la giuria internazionale presieduta dall’autorevole cineasta tedesco Volker Schlöndorff ha deciso di conferire il premio per la Miglior Regia a Blue Moon (Crai Nou, in originale) della rumena Alina Grigore. Decisione assai comprensibile, questa, se si considerano l’ottima direzione degli attori, l’intrigante gestione dei tempi narrativi e la capacità di scavare, attraverso le vicissitudini di un clan familiare alle prese con dinamiche interne a dir poco laceranti, morbose, stantie, nei meandri di un disagio sociale diffuso.
Come accade spesso nel miglior cinema di provenienza rumena, ci si ritrova catapultati sin dalle prime inquadrature “in medias res”. Nella fattispecie un brusco risveglio, per la protagonista, che vorrebbe approcciare con maggior libertà il proprio futuro affettivo e professionale ma è fagocitata a sua volta dai turbamenti e dalle piccole, grandi frustrazioni di una famiglia divisa: un padre visto come traditore per essersi rifatto una vita all’estero, una sorella fin troppo fiera e disinibita al punto di essere guardata con sospetto dagli altri, uno zio bonario che vorrebbe prendersi cura affettuosamente di tutti difettando però di carattere, più una serie di cugini incapaci di gestire le presenze femminili che hanno a fianco, senza risultare alla fine rancorosi, autoritari ed esageratamente apprensivi.
In particolare uno di loro, il nevrotico Liviu (Mircea Postelnicu), non riesce a tenere in alcun modo sotto controllo quelle manie di controllo, ai limiti del patologico, riservate tanto alla protagonista Irina (Ioana Chitu) che a sua sorella Viki (Ioana Ilinca Neacsu). Con esiti sempre più distruttivi nei confronti della vita privata delle ragazze. E a lungo andare le conseguenze saranno, neanche a dirlo, nefaste per tutti…
Complici anche la naturalezza e le capacità attoriali degli interpreti, ciò che ne esce fuori è un affresco sociopsicologico dalle coloriture acide, nel complesso veritiero, ben attento poi alle chine pericolose che possono prendere i rapporti uomo-donna in una realtà dai valori confusi, condizionata negativamente pure dallo spettro della precarietà finanziaria. Formidabili alcuni scontri tra i personaggi. A limitare l’incisività del racconto giusto qualche piccolo vezzo autoriale. E per gusto personale additiamo proprio l’intervento sulla messa a fuoco nel finale, “variatio” non così necessaria in un lungometraggio per il resto formalmente molto sobrio, tra le soluzioni registiche meno efficaci.
Stefano Coccia