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Billy Lynn – Un giorno da eroe

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VOTO: 7

Una grande nazione di “bambini”

Il principale, ma tutt’altro che esile, limite oggettivo al quale va incontro l’ultima fatica di Ang Lee, intitolata Billy Lynn – Un giorno da eroe (più evocativo ma difficilmente traducibile il titolo originale, cioè Billy Lynn’s Long Halftime Walk, con riferimento alla lunga parentesi show-business incorporata nel film), è quello di venire dopo tutta una serie di lungometraggi che hanno detto molto sull’argomento “ritorno a casa dalla guerra”. E ciò sia dal punto di vista personale che sociale. Impossibile non pensare, per rimanere a periodi più recenti, al duplice Clint Eastwood di American Sniper (2014) nel primo ambito, oppure al magnifico Flags of Our Fathers (2006) nel secondo, con relativa strumentalizzazione, da parte della nazione, di un (presunto) gesto d’eroismo. Per tacere dell’acuta analisi della sindrome da dipendenza post-bellica operata da Kathryn Bigelow nel pluripremiato The Hurt Locker (2008).
Anche in Billy Lynn – Un giorno da eroe, si racconta ovviamente di guerra, specificamente del conflitto in Iraq che ha visto coinvolti migliaia di giovani americani. Tra questi c’è il protagonista del titolo, ragazzo poco più che ventenne il quale, nel tentativo di salvare la vita ad un suo superiore, ha affrontato coraggiosamente prima le pallottole nemiche, poi un combattente del fronte opposto corpo a corpo. Un episodio che può capitare in una guerra; e tuttavia trasformato dalla propaganda in qualcosa di sensazionale allo scopo di rinvigorire quel sentimento patriottico piuttosto sopito dalle polemiche che investirono l’ultimo conflitto medio – orientale fortemente voluto dall’allora presidente George W. Bush.
Come suo solito, Ang Lee semplifica al massimo un materiale narrativo che in teoria si sarebbe prestato ad un violento j’accuse nei confronti di una nazione in totale contraddizione con se stessa – culla della democrazia e, allo stesso tempo, paese guerrafondaio, solo per citare una delle tante situazioni paradossali che l’affliggono – trasformandolo in una lunga “passeggiata” (da cui il titolo originale) in soggettiva simbolica, arricchita da una tecnica di ripresa all’avanguardia che sarà difficile vedere nella sua perfezione, attraverso le macerie morali di un paese privo delle basilari fondamenta etiche dal punto di vista sociale, dove la distinzione tra giusto e sbagliato risulta talmente labile da dover essere giocoforza affidata al libero arbitrio di giovani cresciuti troppo in fretta. Billy Lynn – lode senza riserve all’esordiente Joe Alwyn che lo interpreta, con Ang Lee che ancora una volta si conferma grande direttore di attori. Vedere anche la performance atipica di Vin Diesel… – al termine della parabola esistenziale raccontata nel lungometraggio, si rende conto di essere solo un minuscolo pezzo di un ingranaggio enorme, troppo grande per essere fermato. Sceglierà allora, dopo una parentesi sentimentale con una cheerleader ricca di sfaccettature e che contribuirà ad aprirgli ulteriormente gli occhi, l’unica strada possibile, quella cioè del cameratismo e dell’affetto verso i suoi commilitoni decidendo per un ritorno in Iraq a dispetto delle pressioni compiute su di lui dalla sorella Kathryn (Kristen Stewart), assai critica verso il conflitto ma soprattutto preoccupata per la sorte del fratello.
Letto in questa chiave Billy Lynn – Un giorno da eroe potrebbe sembrare una sorta di pamphlet piuttosto edificante sulla necessità di servire la patria per sentirsi parte di un gruppo e finalizzare, di conseguenza, quel processo di realizzazione di se stessi da ogni individuo agognato. Non è questo il caso. Perché ad una forma narrativa abbastanza tradizionale, tipica del modus operandi di Lee, fatta di flashback bellici e famigliari che si alternano al giorno di celebrazione dell’atto eroico nel corso di una partita di football a Dallas, si contrappone un’analisi oltremodo critica dell’american way of life, “istituzione” cannibalica in grado di fagocitare qualsiasi elemento di vita vissuta nel nome di un ipotetico tornaconto economico. Esemplare, in tale chiave, l’idea di girare un film sulla vicenda di Billy e del suo plotone, ideata dal tycoon senza scrupoli interpretato dal redivivo Steve Martin finalmente in un ruolo a tutto tondo ancorché negativo. Un corto circuito, quello del film vagheggiato all’interno del film, che mette paradossalmente in luce tutte le distorsioni di una nazione troppo infantile (parole di Shroom, il soldato impersonato da Vin Diesel) per non essere anche morbosamente infatuata dei propri giocattoli preferiti: soldi e potere. Su questo, insidioso, terreno si muove un’opera che non disdegna una buona dose di didascalismo e retorica nell’accostare sul filo della metafora guerra esterna (in Iraq) e interna (negli States) nel nome degli affari. Ma solo per far arrivare con maggior chiarezza il messaggio che si propone di esternare. Sul quale si potrebbe e si dovrebbe discutere.

Daniele De Angelis

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