Il cammino per la libertà
La pazienza si sa è la virtù dei forti e a giudicare dal numero di anni che ci sono voluti per completare la lavorazione del suo lungometraggio d’esordio, Tian Tsering ne ha da vendere. Ben sette sono quelli che il giovane regista cinese, londinese di adozione, ha dovuto attendere prima che Barley Fields on the Other Side of the Mountain riuscisse finalmente ad approdare sul grande schermo. La presentazione nel concorso della sezione “Panorama Internazionale” della nona edizione del Bif&st, dopo l’anteprima mondiale al Festival di Mumbai, ci è servita a capire se è valsa la pena attendere così a lungo. Ora, dopo avere avuto la possibilità di vedere il risultato finale nel corso della kermesse pugliese, possiamo affermare senza esitazione alcuna che si è trattato di tempo e denaro ben spesi.
Quello di Tsering è un film necessario ancora prima che importante. E lo è per tutta quella serie di temi universali del quale si è fatto portatore sano, ma anche per le emozioni che è in grado di suscitare nel fruitore di turno e per la storia che con coraggio è riuscita a raccontare. Una storia, quella al centro della pellicola, che ci porta al seguito di Pema, una sedicenne che vive nelle remote montagne del Tibet. Per generazioni, la sua famiglia ha coltivato i campi di orzo in pace. Ma quando le autorità cinesi arrestano il padre di Pema, il suo mondo va in frantumi. Una suora buddista del monastero locale conosce Pema e la invita a unirsi a un gruppo che intende fuggire a piedi dalla persecuzione cinese attraverso l’Himalaya verso l’India. Pema è lacerata: può lasciare la sua famiglia nel momento di difficoltà? Ha il diritto o il coraggio di unirsi alla sua amica e cercare una nuova vita? Ovviamente per scoprire quale sarà il suo destino dovrete vedere il film (un’altra occasione è offerta dal cartellone del 66esimo Trento Film Festival), ma sin dalla sinossi è facile intuire quale siano stati gli ostacoli che il cineasta cinese ha dovuto affrontare per portarlo a termine.
Raccontato attraverso gli occhi di un’adolescente, Barley Fields on the Other Side of the Mountain è un film sul prezzo della libertà e su chi decide di pagarlo. Girato interamente in Himalaya con un cast di non professionisti, il film ha il merito di dare voce ai popoli oppressi del Tibet attraverso una storia universale sull’amore dei genitori per i loro figli. Lo schierarsi apertamente a favore delle vittime di questa oppressione e violazione della libertà collettiva e individuale ha giocoforza reso il percorso produttivo dell’opera ancora più difficoltoso e tortuoso. La pellicola e la storia che narra sono un grido d’aiuto per squarciare il silenzio, per provare ad aprire un varco – quantomeno informativo – nel “muro” eretto dal Governo cinese per evitare che se ne parli e allo stesso tempo un atto di denuncia contro una condizione che da decenni crea dolore e sofferenza in un popolo, al quale è negato il diritto di scegliere.
Tsering passa attraverso il romanzo di formazione per imprimere sulle pagine dello script prima e sui fotogrammi della sua messa in quadro poi un film di impegno civile, che seguendo traiettorie narrative lineari, nonostante qualche digressione di troppo nella parte centrale della timeline, colpisce nel segno. E per farlo usa un realismo di natura antropologica e lampi improvvisi di lirismo che, una volta combinati con l’intensa e densa interpretazione della non professionista Tsering Choekyi nei panni di Pema, generano momenti dal forte impatto emotivo che hanno nel toccante epilogo il punto più alto.
Francesco Del Grosso