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In concorso al Biopic Fest 2023 tra i lungometraggi di finzione, Baghdad Messi è in programma sabato 23 settembre alle ore 22, presso la Casa del Cinema di Roma.
Un appuntamento importante, per il quale sono previsti anche ospiti in sala. Co-prodotto da Iraq, Belgio e Paesi Bassi, il film di Samir Omar Kalifa prende di petto una fase estremamente delicata nella Storia recente della nazione mediorientale, ovvero il periodo successivo alla cacciata di Saddam Hussein, con la presenza nel paese di forze d’occupazione per niente gradite dalla popolazione locale e di una resistenza disposta a usare qualsiasi mezzo pur di ostacolarne la permanenza. Un paese devastato perciò dalla guerra e dai suoi pesanti strascichi.
La figura di Hamoudi, ragazzino tanto fiero quanto sfortunato, campioncino in erba il cui sogno di diventare un grande calciatore è stato reciso assieme alla gamba da un’esplosione, ci ha ricordato altro grande cinema realizzato in contesti simili: su tutti i titoli che potrebbero venirci in mente ora, Viaggio a Kandahar di Mohsen Makhmalbaf (ambientato invece nello scacchiere afghano) ci pare il più attinente.
Soprattutto per l’immagine, divenuta emblematica, della menomazione fisica, in cui sono destinati a confluire l’impatto devastante della guerra e quell’intimo, disperato anelito a sopravvivere.
Tornando al contesto iracheno, in Baghdad Messi la sofferenza è in Hamoudi, come pure nelle persone che gli sono accanto. A partire dalla madre e dal padre, soprattutto quest’ultimo, per via della sua origine Sciita e della decisione iniziale di collaborare con gli occupanti, in modo da avere un lavoro e sfamare così la famiglia. Sciiti e Sunniti. Collaborazionisti e ribelli. Gente ancora sana e gente costretta a vivere con cicatrici profonde, siano esse rappresentate da una grave perdita famigliare o da una ferita indelebile sul proprio corpo. L’autore Samir Omar Kalifa ha dimostrato di saper rappresentare le terribili lacerazioni comparse nel tessuto sociale iracheno alternando sguardi empatici e altri necessariamente duri, crudi. Appoggiandosi poi, ma questa non è una novità, alla capacità del calcio (e ancor più del tifo calcistico, nella circostanza) di porsi come metafora universale, comprensibile a ogni latitudine. E così la visione di Baghdad Messi si dipana tra comprensibilissime inquietudini, piccoli spazi di libertà e aspra critica (geo)politica, affastellando scampoli di lirismo (e schegge di un sofferto coming of age) persino tra le polverose stradine di un paese allo sbando.
Stefano Coccia