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Another German Tank Story

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VOTO: 7

Nazi Go Home!

Scelto quale film d’apertura dell’ultima edizione del Festival del Cinema tedesco, Another German Tank Story (2024) è l’originale lungometraggio d’esordio di un giovane cineasta, Jannis Alexander Kiefer, messosi già in luce coi precedenti corti; tra questi anche Meeting, scritto e diretto da remoto durante il primo lockdown (2020) attraversato dal paese nell’era Covid, che tra svariati riconoscimenti ha ottenuto anche il Premio Lola (Bester programmfüllender Spielfilm), premio assegnato al miglior cortometraggio tedesco dell’anno secondo il giudizio della Deutsche Filmakademie, nell’ambito del Deutscher Filmpreis.
Per quanto riguarda questo suo passaggio al lungo, l’impressione è che di fondo vi sia una certa brillantezza, già a livello di sceneggiatura, sebbene gli intenti satirici decollino solo in parte per via di un umorismo raggelato che a volte fa centro, col suo timbro beffardo, sardonico, a volte finisce invece per girare un po’ a vuoto.

Epicentro della narrazione è il minuscolo villaggio di Wiesenwalde, immaginaria località che si potrebbe localizzare nella ex DDR, stando alle differenti, particolari iconografie rappresentate a livello scenografico: fa fede qui la bizzarra collezione di cimeli storici custoditi da un’anziana coppia, una collezione che va da bandiere risalenti al periodo del “blocco socialista” a precedenti retaggi della Germania hitleriana.
Del resto la cittadina di Wiesenwalde viene descritta, alludendo di sguincio alla fase depressiva cui anche l’economia tedesca è andata incontro degli ultimi anni, come una sorta di non-luogo in bilico tra differenti passati, resi oggetto di una rimozione profonda, e un incerto futuro.
Umoristicamente l’unico elemento identitario realmente sentito da tutti i compaesani sembrerebbe essere un’eredità ancora più antica, ovvero i pittoreschi aneddoti legati al passaggio in città di Georg Philipp Telemann, compositore e organista tedesco dell’epoca barocca le cui musiche fanno capolino spesso nel film.
Ma se questo luogo sperduto appare abbarbicato al sempre più risicato sfruttamento turistico di tale figura, è la volenterosa sindaca Susanne a essersi resa protagonista di un azzardo non da poco, pur di rilanciare il villaggio: invitare cioè una troupe americana per le riprese di una serie sulla Seconda Guerra Mondiale destinata a sicuro successo.

L’aspetto meta-cinematografico, quindi, non soltanto in Another German Tank Story è presente un po’ ovunque, ma è anche foriero dei più ghiotti spunti satirici. L’impatto del più becero microcosmo hollywoodiano sarà infatti devastante sul tessuto sociale di Wiesenwalde, riempiendo personaggi di tutte le età di aspettative e di sogni, per cui è fin troppo facile immaginare un brusco, amaro risveglio.
Quando poi le riprese entrano nel vivo, dando l’impressione ai più di essere stati catapultati in un farsesco revival dell’esperienza nazionalsocialista, vedremo addirittura le scritte sui muri di qualche cittadino scontento, che prima invitavano semplicemente gli americani ad andarsene, trasformarsi ironicamente in un surreale, perentorio “Nazi Go Home”.
Del resto, laddove un eccessivo bozzettismo può essere tranquillamente elencato tra i limiti del lungometraggio, non mancano certo le scene ammiccanti, allusive, talvolta persino memorabili, che vanno ad incidere sul piano simbolico e satirico: tra di essere menzioniamo volentieri gli effetti tragicomici di un “fantozziano” blackout e l’immagine della sindaca alla guida di un vecchio panzer tedesco, arrugginito ma ancora funzionante.

Stefano Coccia

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