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Al Qimma

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VOTO: 7.5

Missione divina

«Se la montagna non viene a Maometto, Maometto va alla montagna». Quante volte abbiamo sentito o pronunciato questo antico proverbio per indicare il raggiungimento di un obiettivo o di una destinazione? Impossibile quantificarlo visto l’uso comune e ricorrente che se ne fa. Nel caso della storia della protagonista di Al Qimma sembra calzare a pennello.
Il documentario del regista e produttore marocchino Mehdi Moutia, presentato in anteprima mondiale nel concorso della 69esima edizione del Trento Film Festival, ci porta al seguito della connazionale Bouchra Baibanou, una donna mussulmana di 48 anni, di Salé. Ha scoperto il mondo della montagna ai tempi dell’università. Un giorno, legge un annuncio: “Escursioni nel Toubkal”. Con il suo carattere forte e la sua joie de vivre, partì senza farsi troppe domande. Fu la sua prima cima: 4167 metri! Provò una sensazione forte, quasi divina. Sentì la libertà, intravide il suo destino. Qualche anno dopo, Bouchra si prepara alla scalata dell’Everest, la vetta più alta del mondo. Questo viaggio rappresenta per lei una ricerca spirituale che la porterà a scoprire la sua ragione di vita. In Marocco, Lahoucine e Hiba, marito e figlia di Bouchra, vivono questa avventura a modo loro. Tra preoccupazione e incoraggiamento, cercano come meglio possono di seguire il cammino intrapreso da Bouchra.
Questo progetto, interamente prodotto e girato da Mehdi, è stato sviluppato e realizzato in parallelo ai suoi studi di cinema, nell’arco di più di sei anni. Anni in cui il cineasta ha pedinato in lungo e in largo la donna, la prima marocchina nella storia dell’alpinismo ad aver conquistato, compresa quella dell’Everest, la bellezza di sette vette in tutto il mondo. Da qui il titolo Al Qimma, che in marocchino significa appunto vetta, un film sulle prime volte: da una parte quella della protagonista sulla montagna più alta del mondo, da sempre traguardo massimo per un alpinista; dall’altra quella per l’autore del documentario, qui alla suo vero battesimo dietro la macchina da presa. Una sfida per entrambi insomma, che si concretizza in una pellicola dalla quale traspaiono tutte le emozioni di un’avventura nella quale la paura costante di fallire viaggia di pari passo con il bisogno epidermico da entrambe le parti di portare a termine la rispettiva missione. Il ché li porta ad affidarsi uno all’altro, ma anche a separarsi quando è il momento a richiederlo. Quel quando giunge in prossimità del primo campo base. Da lì in poi la narrazione passa unicamente nelle mani della protagonista, con il documentario che cambia pelle trasformandosi da racconto di viaggio e di un’impresa sportiva in un video-diario in prima persona. Con una go-pro piazzata sul caschetto della donna viviamo in soggettiva gli highlights della scalata, che via via si fa più ardua mano a mano che l’altitudine aumenta e le temperature si abbassano.
Le immagini in soggettiva che la scalatrice consegnerà al regista sono spettacolari e contribuiscono a dare vita a una vera esperienza immersiva, nella quale i suoi occhi e il suo respiro diventano i anche nostri. In Al Qimma ci ritroviamo tra bivacchi e pareti di ghiaccio, con momenti al cardiopalma per le quali si sconsiglia la visione a coloro che soffrono di vertigini.

Francesco Del Grosso

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