Il dolore di una madre
Ci sono date che più di altre sono destinate a rimanere impresse nella memoria collettiva per i fatti di sangue che le hanno macchiate e per la sofferenza che provocata in coloro che direttamente e indirettamente ne sono state vittime o testimoni. La Storia purtroppo, anche quella più recente, è costellata di eventi che l’hanno segnata in tal senso e uno di questi si è consumato il 3 giugno 2017, giorno in cui nel Regno Unito e nella capitale britannica ha avuto luogo l’ennesimo attacco terroristico che ha provocato la morte di 8 persone e il ferimento di 48. Secondo la ricostruzione degli eventi, alle 22.08 (ora locale), tre uomini a bordo di un furgoncino Renault bianco noleggiato ad Harold Hill hanno investito alcuni passanti che passeggiavano sul London Bridge per poi schiantarsi contro il Barrowboy and Banker Pub. I tre terroristi, usciti dalla vettura, hanno iniziato ad accoltellare i passanti prima di spostarsi nella zona vicina al Borough Market, affollata di pub, dove hanno continuato ad aggredire civili. I tre, che indossavano false cinture esplosive, sono stati poi uccisi dalla polizia a colpi di pistola, otto minuti dopo la prima chiamata giunta al servizio di emergenza. Uno di loro era Youssef Zaghba, un ragazzo italo-marocchino di 22 anni con madre di nazionalità italiana. Ed è proprio quest’ultima la protagonista del documentario diretto da Davide Rizzo e Marzia Toscano dal titolo After the Bridge, presentato nella sezione “Cinema & Realtà” della 24esima edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce, laddove è approdato dopo un fortunato percorso festivaliero iniziato al 19° Biografilm Festival, kermesse bolognese che lo ha visto portare a casa ben tre riconoscimenti.
Come suggerisce il titolo, gli autori rievocano l’evento e il luogo che ha fatto da cornice per poi scegliere una prospettiva “altra” e complessa dalla quale raccontare quanto accaduto quel maledetto giorno. Il ché fa di After the Bridge qualcosa di più e di diverso, che parte dall’atto in sé per andare oltre la fredda cronaca e ricostruzione di un attentato, focalizzando l’attenzione sull’impatto che ha avuto sui singoli e sugli effetti collaterali. Il testimone passa in questo caso alla madre di uno degli attentatori e di riflesso al suo punto di vista, che diventa di fatto quello della narratrice degli eventi e il baricentro su e intorno al quale ruota il racconto di una storia che riavvolge i fili del passato e dei ricordi in un flusso di coscienza per elaborare le scelte e la morte del figlio. Lei è Valeria Collina, una donna italiana convertita all’Islam tornata a vivere nel suo Paese dopo vent’anni trascorsi in Marocco. Nel giugno del 2017, la sua vita viene sconvolta dalla morte del giovane figlio Youssef, membro del commando jihadista che ha compiuto l’attacco terroristico al London Bridge. Ventiquattro ore dopo la piccola casa di Valeria sui colli bolognesi è invasa da giornalisti provenienti da tutto il mondo. La donna condanna pubblicamente le azioni del figlio e decide di non partecipare al suo funerale. In seguito alla confusione di quei giorni si ritrova sola, nella quiete della sua casa, cercando di rimettere insieme la sua vita.
Nel film vita odierna e memoria si alternano: lo spettatore da una parte seguirà le tappe fondamentali della vita di Valeria, dall’altra sarà posto di fronte al percorso odierno di una madre ferita alle prese con una nuova fase della sua vita, dopo la tragica morte di un figlio. Ed è su queste due donne in una e su altrettanti binari che scorrono paralleli per poi convergere che si concentra e si sviluppa la timeline di After the Bridge. Il risultato è un percorso intimo e privato tanto intenso quanto doloroso, quello di una madre e di una donna che si interroga e riflette sul suo passato, sul suo ruolo e su quelle che possono essere state le sue responsabilità. Tutto prende forma e sostanza attraverso un magma vivido di ricordi ed emozioni che riaffiorano con l’utilizzo di filmati in super 8mm che ci riportano al suo periodo giovanile e al passato di attrici, del quale si riappropria per beneficiare del potere salvifico dell’arte. Ciò ci proietta nel suo presente, quello nel quale ha provato e sta provando a riappropriarsi della sua vita e delle sue passioni, quelle che aveva dovuto mettere da parte quando a deciso di avere un nuovo nome e abbracciare un nuovo Dio e una nuova cultura, svuotandosi di tutto quello che aveva appreso in precedenza per permettere di gettare nuove fondamenta.
Con questo viaggio introspettivo fisico ed emozionale, che lascia spazio a momenti di riflessione e anche di puro lirismo (le passeggiate nel bosco), si assiste a come la protagonista si riappropria di ciò che era per tornare ad essere ciò che è stata in proiezione del futuro. Il tutto catturato e restituito sullo schermo da una macchina da presa mai invasiva nel documentari i suoi giorni e cercando di cogliere le emozioni e i cambiamenti della protagonista. Una visione che lascia il segno.
Francesco Del Grosso