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A Piece of Sky

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VOTO: 7.5

Una piccola storia di montagna

Una vera e propria sorpresa di questa 72° edizione del Festival di Berlino è stato il lungometraggio A Piece of Sky (Drii Winter), realizzato dal regista svizzero Michael Koch e presentato in corsa per l’ambitissimo Orso d’Oro. Non è solo la tenera storia d’amore qui messa in scena, non sono solo le suggestive ambientazioni a rendere il presente A Piece of Sky un prodotto degno di nota. Ciò per cui questo secondo lungometraggio di Koch colpisce è la straordinaria armonia che uomo e natura riescono a creare. Nonostante le avversità. Ma andiamo per gradi.

Anna (impersonata da Michele Brand) vive in un piccolo villaggio alpino e gestisce insieme a sua madre una locanda. La donna ha una figlioletta, Julia, nata da una precedente relazione e da circa un anno ha iniziato una tenera storia d’amore con il taciturno Marco (Simon Wisler), un ragazzone che viene dalla pianura, ma che si è immediatamente ambientato in questa nuova realtà. I due si sposano e tutto sembra andare per il meglio, finché Marco non inizia ad assumere comportamenti sempre più strani.
Sono i teneri gesti tra i due innamorati, i dettagli della loro semplice, ma preziosa quotidianità, i paesaggi montuosi, dalle grandi superfici verdi in estate e con una nebbia talmente fitta che a stento fa riconoscere le cime dei monti in inverno a esercitare, fin dai primi minuti, un fascino magnetico. La macchina da presa di Michael Koch si concentra sui loro volti e su ogni dettaglio, per poi regalarci suggestive panoramiche e campi lunghi, tutto rigorosamente in 4:3 e con colori vivi e saturi.
Ma va realmente tutto bene? Diviso in tre atti – e con un coro che sulle note di “Komm, süßer Tod” di Johann Sebastian Bach e secondo l’impostazione di una tragedia greca ci fa presagire ben altri risvolti – A Piece of Sky nell’apparente calma esteriore mette in scena ben più profondi drammi personali, concentrandosi esclusivamente sui suoi protagonisti – la maggior parte dei quali impersonata da attori non professionisti – e spogliando il più possibile questo suo lavoro da ridondanti dettagli “esterni”.
A Piece of Sky è il racconto di due esseri umani puri, non privi di debolezze, non “immuni” alle avversità della vita, ma che nella semplicità dell’ordinario – come accarezzare una mucca o fare una corsa in moto per le strade di campagna – e, soprattutto, nello stretto contatto con la natura trovano un proprio perfetto compimento.
Non ricerca a tutti i costi, Michael Koch, una spiccata originalità. Questo suo A Piece of Sky mette in scena non una, ma tante storie d’amore che abbiamo più e più volte visto sul grande schermo. Eppure, il singolare approccio del regista, la sua grande sensibilità e la sua particolare attenzione ai dettagli, agli ambienti (qui trattati alla stregua di veri e propri coprotagonisti) e a ogni più sottile emozione che traspare dai volti dei personaggi fanno di questo suo secondo lungometraggio un vero e proprio gioiellino di questa ricca e variegata 72° Berlinale.

Marina Pavido

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