Un cordone ombelicale con il passato
Scelte di campo. Quest’anno la redazione di CineClandestino, da sempre vicina alle evoluzioni più interessanti del cinema di genere, ha deciso di dedicare un’attenzione particolare al Monsters – Fantastic Film Festival, denominazione assunta quest’anno dalla manifestazione cinematografica che, nel corso di ben sette edizioni, ha portato a Taranto programmi più che validi incentrati sull’horror, sul giallo, sulla science fiction, sul fantastico in genere. E non si può certo parlare di “crisi del settimo anno”, considerando il palinsesto così ricco di eventi allestito per il 2024.
Riguardo alla sezione Nuove Tendenze – Concorso Lungometraggi, il battesimo del fuoco (mai termine fu più appropriato, considerando la cornice della vicenda) è stato lunedì 25 novembre al Savoia Cityplex di Taranto, con la prima nazionale di A Mother’s Embrace (Abraço de Mãe, 2024) del cineasta brasiliano Cristian Ponce; un horror, quello carioca, che s’ammanta per l’appunto d’acqua e di fuoco, gli elementi coi quali deve costantemente confrontarsi a Rio de Janeiro una squadra di pompieri che, durante la classica operazione di salvataggio, andrà però incontro a fenomeni non solo inquietanti ma ampiamente fuori dalla loro portata.
Lisergico sin dalle scene iniziali, un film come A Mother’s Embrace si diverte a collezionare archetipi e lo fa già nel suggestivo prologo, ambientato in un luna park animato da sinistri bagliori (le fiamme tornano sempre) nel quale l’attrazione principale pare essere un bizzarro “tunnel dell’orrore”, la cui disturbante scenografia è costituita dalle cavità interne di una donna incinta, con tanto di feto in evidenza. Tale visione procurerà non poco turbamento alla piccola Ana e a sua madre. Meno, però, dello spaventoso incendio destinato a svegliare la bambina in casa, nel cuore della notte, con la madre ancora addormentata…
Titoli di testa. Da essi, molto curati anche graficamente, apprendiamo che Rio de Janeiro è soggetta periodicamente a devastanti inondazioni, che mietono vittime soprattutto nei quartieri più poveri. Ana, la protagonista, è diventata adulta e come a seguire un oscuro destino è entrata a far parte proprio di una squadra di vigili del fuoco. Da poco è stata riammessa tra gli “operativi”, dopo esser stata confinata per qualche mese in ufficio a causa di un brutto episodio, che aveva fatto riemergere parte dei suoi traumi infantili. Ma nel febbraio di 1996 si troverà coinvolta, al pari di molti colleghi, in una delle alluvioni più distruttive di fine secolo, destinata però a scoperchiare di fronte alla sua squadra orrori persino più grandi e di natura ancestrale.
La squadra di Ana viene infatti chiamata a soccorrere gli anziani di una fatiscente casa di riposo, dove un incubo di proporzioni inimmaginabili li trascinerà a fondo, uno dopo l’altro. Tra suggestioni di matrice neanche troppo vagamente “lovecraftiana”, che comprendono sette di adoratori del Male, bambini da sacrificare, viscide creature tentacolari ed enormi mostri riemersi con le piogge da un secolare letargo, questa raccapricciante avventura sarà però per Ana l’occasione di “tagliare il cordone ombelicale” con il passato. Letteralmente.
L’unico tallone d’Achille del film di Cristian Ponce è probabilmente la scarsa cura nel definire il background dei personaggi secondari, siano essi i poco interessanti compagni di lavoro della protagonista o, difetto un po’ più grave, i sinistri abitanti della clinica. Ma dopotutto il focus dello script è con ogni evidenza un legame madre-figlia, dai contorni particolarmente morbosi. E a ridosso di questo il regista sudamericano riesce a costruire uno scenario da incubo, soffocante, opprimente, la cui visionarietà ricca di sorprendenti intuizioni visive si sposa elegantemente con il simulacro, col simbolo.
Stefano Coccia