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38°//Nord (trentottesimo parallelo nord)

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VOTO: 6

Confini (in)visibili

Nei suoi nove anni di vita un festival come Visioni Fuori Raccordo si è posto quale privilegiato oggetto di indagine le periferie, i territori ai margini, le zone di confine. La scelta di un documentario come 38°//Nord (trentottesimo parallelo nord) di Nunzio Gringeri appare perfettamente in sintonia con tale spirito. Il titolo, apparentemente un po’enigmatico, potrebbe far pensare a tante cose. Del resto il 38° parallelo corrisponde anche alla famigerata linea di demarcazione tra la Corea del Sud e la Corea del Nord. Ma qui si allude ad altro. Su simili coordinate geografiche si trova infatti lo Stretto di Messina.

Nel lavoro di Gringeri uno sguardo a volo d’uccello riesce a cogliere, quasi impressionisticamente, i vari elementi, naturali e antropologici, che caratterizzano uno spazio fisico segnato da trascorsi anche drammatici. I terremoti, soprattutto quello devastante del 1908, ne hanno sfregiato in profondità l’aspetto riconducibile alla presenza umana. E i disagi attuali sono in gran parte riconducibili al deprecabile stato d’abbandono che ne è conseguito.
Il carattere sottilmente straniante delle immagini proposte nel documentario si configura quindi come uno dei suoi pregi maggiori. Sin dall’inizio, volendo, quando si resta in qualche modo soggiogati dalla forza ipnotica di una lunga inquadratura, che vede strati di foschia scivolare giù dal promontorio, come una evanescente cascata, verso le acque dello stretto. Se le cerimonie religiose e le sempre più difficoltose attività di pesca sembrano fare da collante al versante antropologico, l’elemento acquatico occupa ovviamente una posizione centrale, nell’economia narrativa e nell’iconografia di 38°//Nord (trentottesimo parallelo nord): film i cui tempi finiscono per essere scanditi in qualche misura dal rituale passaggio dei traghetti. L’impianto visivo è pertanto seducente. Eppure si rimane alla fine con l’impressione che si sarebbe potuto dire e mostrare molto di più. Le non molte interviste inserite nel documentario lasciano intendere proprio questo, che approfondire il vissuto della gente del posto avrebbe giovato parecchio a un lavoro sicuramente in grado di stuzzicare lo spettatore, ma non di saziarne la curiosità.

Stefano Coccia

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