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When the Phone Rang

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VOTO: 7

Una telefonata può cambiarti la vita

Sono undici le opere presentate nella sezione “Wild Roses” della 36esima edizione del Trieste Film Festival. Inaugurata nel 2021, quella in questione, è una vetrina curata da Stefan Ivančić dedicata alle registe dell’Europa centro orientale, che raccoglie ogni anno i lavori di un gruppo di cineaste di talento provenienti da un Paese diverso. Nel 2025 il focus è stato dedicato alle registe della Serbia contemporanea. Tra le cineaste chiamate in causa figura Iva Radivojević con la sua ultima fatica dietro la macchina da presa dal titolo When the Phone Rang (Kada je zazvonio telefon), lungometraggio che l’ha posta sotto i riflettori internazionali grazie alla menzione speciale ricevuta al 77° Festival di Locarno.
Oltre alla regia, l’artista di Belgrado ha firmato anche la sceneggiatura, le musiche e il montaggio del suo terzo film, mantenendo così il pieno controllo su un materiale narrativo e tecnico che nasce dalle viscere dei ricordi che le sono rimasti impressi nella memoria del periodo che ha preceduto la sua partenza dalla Jugoslavia. Ricordi quindi che ruotano intorno alla perdita e allo sradicamento, così come li ha vissuti una bambina di undici anni. Tanti ne aveva infatti quando con la sua famiglia ha dovuto a causa dello scoppio della guerra nei Balcani lasciare la propria terra natia. E sono gli stessi che rivivrà sullo schermo riavvolgendo le lancette dell’orologio fino alle 10:36 di un venerdì mattino del 1992, quando lo squillo del telefono di casa cambiò completamente il mondo in cui la regista e il suo alter-ego sullo schermo chiamato Lana, qui interpretato con cuore e sentimento da una convincente Natalija Ilinčić, avevano vissuto fino al quel momento. Da qui il titolo When the Phone Rang, con lo squillo ripetuto di un telefono che innesca il flusso mnemonico ed emotivo su e intorno al quale ruota un’opera che una sorta di diario, le cui pagine diventano il tessuto narrativo di un racconto intimo e personale.
La telefonata funge da innesco per un film indaga la natura del ricordo e che in quanto tale si lascia andare anche a barlumi psichedelici e momenti più onirici come nel caso delle scene della galleria e dell’incubo di Lena reso attraverso un gioco di luci intermittenti e sovrapposizioni. Nella mente dell’undicenne protagonista la telefonata cancella tutto il suo Paese, la sua storia e la sua identità e ne nasconde l’esistenza nei libri, nei film stessi e nei ricordi dei nati prima del 1995. Il conflitto rimarrà costantemente sullo sfondo per concentrarsi sui capitoli di un romanzo di formazione scritto in punta di matita con il potere rievocativo del 16mm e di una granulosità che conferisce a un’immagine incasellata nel 4:3 perlopiù a camera fissa la tonalità nebbiosa e sfocata tipica dei ricordi d’infanzia sbiaditi. Scelta, questa, che si sposa alla perfezione con una storia che parla di memoria persistente, quella di un’adolescente ora donna e regista, ma anche di un Paese che sulle macerie dei ricordi ha dovuto lentamente risorgere.

Francesco Del Grosso

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