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Warsha

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VOTO: 8

Il mio volo libero

Ci sono cortometraggi che con un colpo di coda improvviso e inaspettato, piazzato sulla timeline quasi in zona Cesarini, riescono a prendere in contropiede lo spettatore di turno, spazzando via tutte quelle certezze e convinzioni che sembravano ormai radicate nella mente del fruitore al momento della visione. Poi arriva come un fulmine a ciel sereno quel plot twist che rimette tutto in discussione, mandando in frantumi le suddette convinzioni. Ed è quanto accade in Warsha, terza produzione sulla breve distanza di Dania Bdeir, che dopo la partecipazione e i riconoscimenti raccolti in prestigiose vetrine festivaliere come Clermont-Ferrand, Tampere e Sundance, è approdata in concorso alla quinta edizione del Pop Corn – Festival del Corto, dove si è aggiudicata il  Premio Commissione Pari Opportunità del Comune di Monte Argentario.
Il punto di forza dell’opera firmata dalla regista e scrittrice libano-canadese, che poi si rivelerà essere l’elemento di svolta e il valore aggiunto, sta proprio nella capacità di mutare in corsa il proprio DNA drammaturgico e tematico quando ormai la strada imboccata all’inizio dal racconto sembrava quella definitiva. Da qualcosa Warsha si tramuta in qualcos’altro e questa mutazione genetica ne decreta il successo. Quando nei primi minuti si vede il protagonista Mohammad alle prese con le condizioni di lavoro proibitive e scarsamente sicure in un cantiere di Beirut, che hanno portato alla morte a seguito di incidenti di alcuni suoi colleghi, viene automatico ipotizzare che quello in questione sia l’ennesimo grido di denuncia che mira ad accendere i riflettori sulla piaga delle morti bianche e sullo sfruttamento. In parte questo è e resta nel cortometraggio, con quest’ultimo che però a un certo punto decide di estendere i propri orizzonti tematici. Ciò avviene quando Mohammad, interpretato da un convincente Khansa, un giorno si offre di salire su una delle gru più alte e pericolose di tutto il Libano e lontano dagli occhi di tutti, riesce finalmente ad esprimere la sua passione segreta e a trovare la sua libertà. È un momento di evasione, seppur immaginifico e fugace, che spalanca una volta per tutte la porta all’altro tema centrale dello short: la ricerca della propria identità e la possibilità di essere se stessi, al di là delle convenzioni, della forma mentis e dei pregiudizi.
La Bdeir porta sullo schermo una storia di libertà, quella di un uomo che trova un modo tutto suo di rompere le catene e gli schemi mentali che ingabbiano lui e tantissimi come lui in una società arcaica e bigotta. Lo fa con il potere dell’immaginazione, con questa che la regista trasforma in immagini e suoni di grande impatto visivo ed emotivo. Il risultato è un’opera che conquista tanto la mente e l’occhio, quanto il cuore di chi la guarda.

Francesco Del Grosso

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