Una storia vera
Agnés Varda, nata a Ixelles (Belgio) il 30 maggio 1928, e di professione regista, sceneggiatrice e fotografa. Nel 2017, l’Academy gli ha consegnato l’Oscar onorario, per incensare tanto la sua carriera, quanto la sua figura storica di cineasta donna. Già nominare solamente il suo nome significa rievocare un lontanissimo periodo cinematografico ricco di espressioni e di umori artistici, che ancora alimentano i pensieri cinefili. La Varda è indissolubilmente legata alla Nouvelle Vague, e seppure autrice di “seconda linea” rispetto ai giovani turchi dei Cahiers, passati dalla penna alla cinepresa, alcune sue opere realizzate in quel periodo sono fondamentali. Nella sua lunga carriera, seppure discontinua e che ricopre un arco di oltre sessant’anni, si potrebbe citare l’esordio La pointe courte, “preistoria” della Nouvelle Vague realizzato nel 1955, però è meglio ricordare Cléo de 5 à 7, diretto nel 1962, che dietro l’intento di “intagliare” un ritratto di una donna, è un tentativo tecnico di girare un film di finzione con toni documentaristi in tempo reale (i 90 minuti corrispondono allo svolgimento effettivo della storia). Anche la sua vita privata è stata densa e di accenti artistici, basti ricordare la relazione con il regista “musicale Jacques Demy (1931-1990) e l’amicizia con Jim Morrison; senza dimenticare le amicizie – e le collaborazioni – con gli altri autori della Nouvelle Vague.
Agnés Varda, quindi, nel 2017 diviene una delle ultime memorie di un lontanissimo tempo che fu, però la sua veneranda età non gli impedisce di voler continuare a vivere e soprattutto seguitare a lavorare. La sua passione per le immagini continua con una speranzosa vitalità, ed è sempre alla ricerca di qualcosa da scoprire e immortalare. Questo Visages, village – visto al Cineuropa Compostela 2017 – s’inserisce bene in questa energica ricerca, e si colora anche di altri temi. La pellicola, documentario un poco ritoccato con momenti di finzione, diviene l’incontro e la collaborazione tra l’anziana cineasta e l’artista contemporaneo JR (Jean René), che decidono di fare un viaggio in terre e paesi in via di estinzione, per (rac)cogliere la memoria di quei luoghi, e allo stesso tempo lasciare, come omaggio, delle “orme” artistiche. Un road movie rurale che ricorda vagamente il rettilineo viaggio tracciato in The Straight Story da David Lynch, in cui il lento e tribolato percorso intrapreso da Alvin nella profonda America era anche un omaggio ai paesaggi e all’umanità ancora legati a luoghi incontaminati dalla corruzione. E inoltre, l’inoltrarsi nella profonda Francia è per il duo JR e Varda non solo un modo per collaborare assieme e arricchire le loro esperienze artistiche, ma, attraverso il presente, vedere cosa resta di un glorioso e vivo passato socio-culturale. La divertita pellegrinazione ci conduce in quartieri industriali minerari in decadimento; vaste terre agricole di antico stile ma coltivate con tecnologie ultra-moderne; vasti luoghi industriali in cui ancora c’è dell’umanità relazionale; i freddi e violenti resti della Seconda Guerra Mondiale. E in queste frequenti tappe, i due autori si rapportano vivamente con la gente, facendosi raccontare il quotidiano e il passato.
L’andamento di Visages, villages è ben tracciato dai titoli di testa realizzati come dei fumetti animati, e i due artisti, tra risate e battibecchi, sembrano due figure uscite direttamente dai cartoni animati. È incantevole vedere come Agnés Varda sia ancora capace di raccontare un mondo e allo stesso tempo (ri)mettersi in gioco, artisticamente e privatamente. E apprezzare anche il suo modo giovanilistico di vivere (canta “Ring My Bell”). La scorbutica assenza di Jean Luc Godard è comunque una magnetica presenza, non solo per i vecchi filmati keatoniani girati dalla Varda, ma anche per l’austera residenza asserragliata. Alla fine Godard è sempre stato Godard.
Roberto Baldassarre