Com’è profondo il mare
L’inquadratura frontale di un uomo incappucciato, dallo sguardo magnetico e con una folta barba a circoscriverne il volto. In lontananza il rumore delle onde. E da quell’uomo sentiamo raccontare, in siciliano stretto, l’antica leggenda di Colapesce…
Inizia (e si conclude) così, con un riuscito esercizio di storytelling, il cortometraggio di Vladimir Di Prima selezionato per l’edizione 2017 dell’IveliseCineFestival. Ed abbiamo voluto usare il titolo di una delle più famose canzoni di Lucio Dalla, “Com’è profondo il mare”, quale titolo del pezzo da noi dedicato al corto, sia per omaggiare un brano meraviglioso di cui ricorre proprio quest’anno il quarantennale, sia perché la profondità del testo di Dalla sembra sposarsi così bene con le silenziose profondità marine, quelle attraversate a nuoto dall’intrepido e generoso protagonista di tale racconto.
Adesso però abbandoniamo pure le delizie del cantautorato italiano, per immergerci nuovamente nel cortometraggio realizzato da Vladimir Di Prima, Colapesce, di cui ci è piaciuta innanzitutto la felice, armonica commistione di elementi fantastici e problematiche reali, contemporanee.
Partiamo ovviamente dal presupposto che la leggenda di Colapesce, della quale esistono peraltro non poche varianti, nel Meridione italiano, sia nota a tutti: parliamo quindi del ragazzino che amava così tanto il mare, che si legò così tanto al mare, da lasciare a un certo punto la terraferma e la propria famiglia per vivere il resto della propria vita in acqua. Personalità del calibro di Benedetto Croce e Italo Calvino si sono interessate nel corso del tempo a questo intenso racconto popolare, di cui esistono versioni napoletane ed altre sicule, versioni maggiormente legate a tardi influssi pagani ed altre in cui rifulge la maestosa figura di Federico II di Svevia. Uno degli epiloghi più noti della fiaba, quello forse più suggestivo, vuole che il coraggioso Colapesce abbia addirittura accettato di restare sott’acqua, per sostenere la più fragile e consumata delle tre colonne che nel Mito sorreggono la Sicilia…
Ebbene, con grande sensibilità Vladimir Di Prima ha voluto circoscrivere l’aura leggendaria della storia alla cornice stessa del racconto, con il cantastorie in primo piano, e ad alcune affascinanti riprese subacquee, per attualizzare poi la vicenda inserendo nel mezzo la figura di un moderno Colapesce, disprezzato in paese da chi lo chiama “sciancato” ma capace poi di immensi slanci solidali, ad esempio nei confronti di una migrante che senza il suo intervento sarebbe senz’altro annegata. Perché lui, al pari del Colapesce della favola, a terra si sente limitato ma in mare può ritrovare la libertà. Belle riprese aeree, sinuose esplorazioni dei fondali marini, inquadrature realizzate col dolly o con carrellate di sicuro effetto arricchiscono di tanto in tanto il cortometraggio, sul piano formale. E così la piacevolezza della visione diviene elemento portante di un lavoro che oscilla sapientemente tra il presente e un passato mitologico, tra le difficoltà di oggi e i retaggi della Tradizione, diventando in parte metafora di una Sicilia dove chi non si arrende a un certo malcostume è spesso costretto a lottare silenziosamente, da solo, nell’indifferenza di tanta, troppa gente. Le acque in cui il moderno Colapesce si tuffa con l’idea di non fare più ritorno a terra sono perciò simbolo eloquente di questa condizione, in cui il profondo disagio di fronte a un tessuto sociale sempre meno coeso e la voglia di portare avanti le proprie sfide altrove in qualche misura combaciano.
Stefano Coccia