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Un viaggio per incontrare Mimì

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VOTO: 8

Ricordando il capolavoro di Lina Wertmüller assieme a Giancarlo Giannini

Non si può certo imputare ai cuori che battono nella redazione di CineClandestino l’essere rimasti insensibili, di fronte alla scomparsa della grande Lina Wertmüller. Poco dopo la morte, avvenuta il 9 dicembre 2021, avevamo voluto renderle omaggio trasversalmente occupandoci di un bel documentario scoperto grazie al Mescalito Biopic Fest, Opera prima di Tayu Vlietstra, incentrato sugli esordi di ben sei Maestri del cinema italiano ovvero Mario Monicelli, Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Marco Bellocchio, Francesca Archibugi e, per l’appunto, Lina Wertmüller, della quale si rievocava il folgorante lungometraggio d’esordio I basilischi che le valse anche la Vela d’argento e il Premio internazionale della critica al XVI Festival di Locarno. Un paio di anni dopo siamo stati ancora più diretti recensendo con un filo di commozione Grazie Lina, corto documentario scritto e diretto da un giovane sodale della regista, Yari Gugliucci, che aveva potuto conoscerne la verve sia sul set che nel corso di appassionate conversazioni. Insomma, da parte sua un vero e proprio gesto d’amore, di riconoscenza, concepito quale intenso ricordo in soggettiva. La stessa autenticità l’abbiamo ritrovata ora nello splendido Un viaggio per incontrare Mimì. Animato da una prospettiva assai originale, il documentario di Alfredo Lo Piero è stato presentato alla stampa capitolina lo scorso 23 settembre presso il Cinema Azzurro Scipioni, per poi intraprendere il suo giro nelle sale italiane a partire dal 29 settembre. Viste le emozioni che è in grado di regalare non possiamo far altro che augurargli buon viaggio. Anche per restare in tema!

Cosa ha di tanto speciale Un viaggio per incontrare Mimì? Trattasi, ed è un aspetto che i veri cinefili possono intuire al volo, del vibrante tributo a una delle più note pellicole della regista, Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972). Ma non è certo un documentario “ordinario”. Si propone, al contrario, sin dall’inizio quale cortocircuito dell’immaginario, inglobando elementi di docu-fiction e siparietti stranianti per ricordare la realizzazione del film attraverso un nuovo viaggio del suo mattatore indiscusso, Giancarlo Giannini, in quella Sicilia con cui aveva preso confidenza proprio grazie alla Wertmüller e ad altri memorabili compagni d’avventura come Turi Ferro e Tuccio Musumeci (che rivediamo all’opera nel documentario assieme al figlio Claudio, praticamente il suo “doppio” nelle situazioni più surreali). Il celebre attore, che anche di recente abbiamo visto assai pimpante in Albatross di Giulio Base, si è prestato a saturare di incredibilmente vividi ricordi personali l’itinerario compiuto, assieme alla troupe, attraverso luoghi di cui è affascinante scoprire sia il persistere di determinate atmosfere che i pressoché inevitabili cambiamenti, dopo circa mezzo secolo: La Vucciria (ovvero il mercato tradizionale, coi caratteristici banchi dei pescivendoli) di Palermo, la famosa (o famigerata) Corleone di cui occorre invece riscoprire la bellezza, quella stessa Catania che nelle sequenze meridionali di Mimì metallurgico ferito nell’onore faceva la parte del leone… o magari dell’Elefante, stando alla storica fontana.

Sicilia ieri, Sicilia oggi. Così Un viaggio per incontrare Mimì diventa non soltanto la rievocazione accurata – e insolita nella forma – di un capolavoro del cinema italiano, ma anche dichiarazione d’amore per una terra, che poi è la terra d’origine dell’autore Alfredo Lo Piero; il quale, memore forse dell’Odi et amo di catulliana memoria, ha ritenuto comunque opportuno – giustamente – puntare l’indice in conferenza stampa verso gli attuali problemi della regione, riassumibili volendo in quella cattiva gestione politica che rende difficile anche produrre film del genere.
Allo stesso Lo Piero riconosciamo d’altro canto una certa brillantezza, a livello registico, nel sovrapporre alle parti documentarie quei gustosi inserti che funzionano anche grazie ad alcune spiazzanti presenze: su tutte quelle di Enrico Terrana e Alessandro Caruso, validissima “scorta” per Giancarlo Giannini nel susseguirsi di paesaggi e ambienti siculi cui la loro clownerie dà ulteriore risalto. Nota di merito, infine, per la colonna sonora di Salvo Legname: sonorità mediterranee, orchestrazioni alla Morricone, brani trasognati che ad alcuni hanno ricordato Piovani ad altri Nino Rota, sono qui il sottofondo ideale di un racconto che sposa il grande cinema di Lina Wertmüller, onorando al contempo la bellezza e i contrasti dell’isola.

Stefano Coccia

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