Il senso dell’attesa
Nel variegato mondo dei cortometraggi è facile imbattersi in idee originali che non trovano poi adeguato riscontro nella realizzazione. Le eccezioni, al contrario, possono indicare nuove gemme da scoprire, sia pure con fatica data la purtroppo scarsa visibilità di cui gode la forma breve nel nostro paese. Esistono invece lavori come Un padre che partono, in modo semplice e cristallino, da una pulsione sentimentale ben individuabile, riuscendo a mettere in scena una vasta gamma di emozioni a dispetto della durata limitata.
L’evoluzione narrativa di Un padre, opera seconda di Roberto Gneo, in pratica non esiste. Almeno in un senso tradizionale. Partendo da una pertinente citazione dello scrittore e poeta Paul Valéry (“Tout commence par une interruption“), l’incipit ci porta a casa di un uomo qualunque, in una notte come tante altre. Sono le due passate e il protagonista – interpretato da un Luca Lionello sempre ottimo nel lavoro in sottrazione – viene svegliato da una telefonata di Silvia, sua figlia. Ha litigato con il suo fidanzato ed ora non sa come rientrare a casa. Per il padre comincia un viaggio. Fisico e metaforico. Alla ricerca della figlia ma soprattutto sul cosa possa significare essere genitori. In primo luogo l’assunzione di responsabilità. Quindi il ripercorrere proustianamente i passi perduti nel passato, per riscoprire il perché di determinate situazioni e trovare l’essenza di un rapporto mai facile da gestire. Roberto Gneo azzecca tutte le scelte, sia di regia che di sceneggiatura. La Ferrara che si offre come location del film pulsa di vita propria, alla stregua di un personaggio aggiunto: mentre il cortometraggio stesso risulta ottimamente confezionato grazie anche alla bella fotografia di Fabio Possanza. Ma il vero punto di forza, quello che consente ad Un padre di raggiungere i territori alti della poesia, risiede nella scelta di sospendere la narrazione tra presente e passato, fattore che offre allo spettatore la possibilità di trovarsi in perfetta empatia con le persone comuni protagoniste del corto. Si scopre infatti che il rapporto tra i genitori di Silvia è finito. E che forse, dagli errori del passato, si può ripartire costruendo su nuove e differenti basi.
In virtuosistico equilibrio tra malinconia e speranza, Un padre ci regala una sincera dichiarazione poetica sull’insondabile complessità dei rapporti umani, persino quelli tra consanguinei, troppo spesso dati per scontati e al contrario da costruire giorno dopo giorno in misura persino maggiore degli altri, attraverso la comprensione reciproca. E dove ogni cosa, anche un’apparente seccatura come quella di essere svegliati nel cuore della notte per una richiesta di aiuto, può tramutarsi in una nuova opportunità per ricominciare. Inutile poi sottolineare come la scelta di far interpretare Silvia a Maja Lionello, nella vita autentica figlia di Luca, apra il cortometraggio ad ulteriori “vertigini” simboliche ed emozionali, anche grazie alla notevole affinità dei due nella recitazione. A testimoniare ulteriormente come, in un quarto d’ora di durata (tempo peraltro assai ben speso, dal punto di vista spettatoriale), sia possibile creare dal nulla emozioni scaturite da situazioni solo in apparenza normali, se non addirittura banali. L’importante è saperle trattare con la necessaria sensibilità. Cosa che ad Un padre riesce con la massima naturalezza.
Daniele De Angelis