Caccia alla verità
Al di là che possa piacere oppure no, The Witness è destinato a rimanere nella memoria del pubblico e degli addetti ai lavori per un motivo ben preciso, che come abbiamo detto esula dai meriti e dai demeriti dimostrati sul campo, che nel caso di un film è il grande schermo. La pellicola scritta e diretta da Mitko Panov (che ricordiamo per il suo cortometraggio With Hands Raised, con il quale vinse la Palma d’Oro di categoria nel 1991) , presentata tra le anteprime internazionali della decima edizione del Bif&st, è di fatto l’ultima interpretazione del compianto Bruno Ganz, che a breve vedremo anche in A Hidden Life di Terrence Malick (in concorso a Cannes 2019). Con l’opera terza del regista svizzero di origini macedoni è calato il sipario sulla straordinaria carriera dell’attore elvetico che qui veste i panni dell’ex Generale Nikola Radin, l’unico uomo in grado di affrontare e di testimoniare contro il colonnello Pantic, accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale dell’Aja.Vince Harrington, giovane cancelliere irlandese, decide così di recarsi in ex-Yugoslavia alla ricerca di Radin, ma il viaggio si trasformerà per entrambi in una spietata caccia all’uomo tra le montagne dei Balcani.
Con The Witness, l’autore torna a parlare ancora di guerra e delle sue cicatrici a distanza di otto anni da The War Is Over, ma non con la medesima decisione e incisività. Plot e personaggi sono fittizi, ma calati in un dramma storico e in una tragedia le cui ferite sono ancora ben visibili nella terra martoriata che ne è stata la cornice e nella mente delle persone che direttamente o indirettamente l’hanno vissuta sulla propria pelle. Film come questi servono in primis a non dimenticare e la “galleria degli orrori” mostrata nei titoli di testa attraverso una carrellata di materiali d’archivio dell’epoca restituisce solo in parte le tante violenze e sofferenze causate dal conflitto balcanico. Un fine lodevole, dunque, per una pellicola che oltre questo però non riesce suo e nostro malgrado ad andare per via di evidenti limiti strutturali e di confezione. Quest’ultima, infatti, per resa e stile ha probabilmente più da mostrare sul piccolo che sul grande schermo. L’approccio tecnico ha solo di rado un’espressione cinematografica e soprattutto nella fase centrale, quando prende il via la caccia all’uomo. Questa rappresenta uno spartiacque anche per la scrittura, qui alle prese con uno dei molti cambi di pelle che gli sceneggiatori (Panov compreso) hanno voluto per disegnare le traiettorie narrative e la drammaturgia. Ed è qui il tallone d’Achille dell’opera che parte come il più classico dei legal movie per poi trasformarsi strada facendo prima in un thriller e poi in una sorta di western. Ognuna di queste transizioni provoca a suo modo delle “scosse telluriche” di diversa intensità all’architettura generale dello script, ben poche positive (forse i segmenti processuali sono quelli più solidi) e molte negative che ne minano la stabilità, alcune delle quali persino capaci di fare perdere credibilità al progetto: dall’inspiegabile decisione di fare parlare tutti i macedoni in inglese creando un cortocircuito linguistico ad alcune scene alle quali francamente si fa fatica a prendere sul serio (vedi la sparatoria tra Vince e il gruppo incaricato di mettere a tacere lui e Radin).
Tutto questo per dire a malincuore che The Witness non rende giustizia fino in fondo al suo interprete principale. Ci dimostra semmai, per l’ennesima volta, la grandissima versatilità di Ganz nel calarsi in figure sempre diverse, ma le debolezze del personaggio che gli è stato affidato sono tante da impedire persino a un attore della sua caratura di sopperire a certe mancanze. Lui ci mette tutto se stesso e il bagaglio del quale dispone per dare sostanza al disegno di un uomo che insegue disperatamente la redenzione, devastato dai ricordi indelebili della guerra e delle azioni commesse, ma non è una zattera abbastanza capiente da riuscire a portare in salvo tutti i soggetti coinvolti.
Francesco Del Grosso