La tecnologia è uno strumento
Il suono è innocente, non ha responsabilità. Gli strumenti sono innocenti, non hanno responsabilità. La tecnologia, grande totem della nostra epoca, è uno strumento e dunque è innocente. Gli unici ad essere responsabili sono coloro che adoperano la tecnologia e ne fanno strumento di espressione e creazione. Ciò riguarda anche gli esponenti della scena di musica elettronica. Sembra proprio pensarla così anche la giovane regista slovacca Johana Ožvold, la quale fa di questa idea la base per il suo primo lungometraggio documentario, questo The Sound Is Innocent, in concorso al 39° Bergamo Film Meeting nella sezione Visti da vicino.
Alla ricerca di una propria strada espressiva e di un punto di vista originale la Ožvold organizza quella che si dimostra essere un’indagine storiografica sulla nascita e l’evoluzione della musica elettronica in una forma che, fin dalla sequenza iniziale, a dire il vero un poco didascalica, presenta una forma ed un’atmosfera a metà tra il videoclip e l’opera sperimentale di videoarte. La veste narrativa è di particolare interesse perché tramite filmati d’epoca e l’impiego di tecnologie di diversi periodi si crea l’illusione che sia la tecnologia stessa a raccontare la sua storia. Un altro elemento tecnico di notevole interesse è la forte compenetrazione tra narrazione e luogo dove essa avviene. La pellicola è per intero girata dentro un grande edificio che è facile identificare con la sede della Cineteca Nazionale di Praga, ente con il quale la regista collabora regolarmente. Durante il film l’edificio sempre più acquisice una dimensione allegorica nella quale l’edificio fisico diventa la rappresentazione dell’edificio ideale edificato in anni e decenni da tutti coloro che hanno preso parte alla storia della musica elettronica, sembra quasi prendere vita insieme alle tecnologie in esso custodite. Si parte così dalle fondamenta gettate dai primi pionieri francesi come Pierre Schaeffer, Pierre Henry e Luc Ferrari per arrivare fino ai piani superiori ancora in costruzione con alcuni dei più interessanti rappresentanti della scena contemporanea come Steve Goodman, Julian Rohrhuber e John Richards. Gli autori non compaiono semplicemente in scena ma è come se venissero evocati dalla voce e dalle parole della regista, nostra guida, al pari di Virgilio per Dante, tra le sale ed i corridoi di questo palazzo edificato per il suono elettronico. Confermando di essere una voce assai originale e degna di attenzione nel suo intessere trame psicologiche e sperimentazione audio-visivisa, la giovane regista riesce, risultato tutt’altro che scontato, a produrre un’opera storiografica ed artistica ad un tempo, la quale, seppur con qualche didascalismo comunque perdonabile, riesce nella missione di propagandare un atteggiamento filosofico, prima ancora che produttivo, verso il suono e la produzione musicale, e lo fa anche e soprattutto attraverso la forma, che qui diventa senz’altro sostanza.
Luca Bovio