Misteriosi sintomi
Corea, anni trenta. Un sanatorio femminile. Una nuova allieva. La misteriosa scomparsa di alcune ragazze. I sintomi di una strana malattia ed un programma di riabilitazione alquanto insolito. Inquietanti atmosfere, quelle raccontate in The Silenced, ultimo lungometraggio del cineasta coreano Lee Hae-young, presentato in anteprima alla diciottesima edizione del Far East Film Festival di Udine. E questo prodotto non è solo un horror fine a sé stesso, che, seppur appassionante, resta pur sempre un semplice “divertissement”. The Silenced è, in realtà, molto di più. Scopriamo perché.
Ju-ran è una ragazzina timida ed insicura che viene abbandonata dalla matrigna in un misterioso sanatorio, al fine di poter guarire dalla tubercolosi. Una volta entrata a far parte della struttura, farà da subito amicizia con un’altra allieva/paziente e verrà a sapere che il letto da lei occupato era – fino a pochi giorni prima – di un’altra ragazza – sua omonima – misteriosamente scomparsa nel nulla. In seguito, saranno anche altre giovani a sparire senza lasciare traccia, dopo aver manifestato i sintomi di una misteriosa malattia. A questo punto, il sospetto che all’interno del sanatorio si stia organizzando qualcosa di losco inizierà a farsi strada nella mente della giovane protagonista.
Giochi di luci ed ombre, una costante tensione in attesa che avvenga qualcosa di brutto, personaggi apparentemente positivi che – proprio per essere eccessivamente gentili, dolci, addirittura stucchevoli – fanno presagire il peggio. Senza dubbio Lee Hae-young in questo suo ultimo lavoro si è divertito non poco, rispettando tutti i canoni dell’horror classico, con qualche scena splatter qua e là, ma facendo anche un grosso lavoro per quanto riguarda la psicologia dei personaggi qui raccontati e giocando con lo spettatore stesso, facendolo entrare in un mondo dove apparentemente non sembra esserci alcuna via d’uscita.
Nulla è lasciato al caso, nulla è fine a sé stesso. Persino le scene più violente risultano finalizzate a raccontare qualcos’altro, seppur – come è anche giusto che sia – autocompiacenti quanto basta. Quello che qui viene messo in scena ha, infatti, parecchi riferimenti alla storia del Giappone dei primi decenni del Novecento (soprattutto alla politica dittatoriale perseguita nell’Impero giapponese), segno che niente è stato dimenticato. Di conseguenza, in The Silenced vediamo raccontate per immagini tutte le inquietudini e gli incubi più reconditi di un intero popolo (e in primo luogo della popolazione coreana, sottoposta in quegli anni a una dura dominazione), che, a sua volta, sente tutt’oggi l’esigenza di esternare, in qualche modo, ciò che ha dovuto subire.
E poi c’è l’amicizia. Quella vera, che – grazie anche alla situazione che si sta vivendo – fa sì che salti fuori l’esigenza di vivere quasi in simbiosi. Memorabile, a questo proposito, la scena finale, in cui vediamo in flashback la protagonista e l’amica intente a chiacchierare in uno dei pochi momenti di serenità che hanno potuto condividere all’interno del sanatorio.
Visivamente accattivante, con una regia sapiente ed attenta ad ogni singolo dettaglio, questo ultimo lavoro di Lee Hae-young – seppur molto simile per ambientazione a numerosi altri film di genere – risulta in conclusione un prodotto ben riuscito. Una visione che, al suo termine, lascia senza dubbio appagati.
Marina Pavido