Hazanavicius “cade” in guerra
La vittoria alla notte degli Oscar del 2011 – quando The Artist si portò a casa ben cinque statuette – ha significato per Michel Hazanavicius il vedersi spalancare le porte dello star system, consentedogli di poter avere riconoscimenti internazionali e una relativa conseguente facilità di accedere a finanziamenti per realizzare i suoi progetti. The Search è un’opera “figlia” di quel trionfo, un film fortemente voluto dal regista francese, nel quale lodevolmente, va detto, Hazanavicius cerca di “mostrare” e denunciare gli orrori della seconda guerra cecena combattuta nel 1999: un conflitto sporco e sanguinoso, nel quale furono perpetrate numerose violazioni dei diritti umani, ma che la comunità internazionale e l’opinione pubblica trattarono in sordina, considerandolo come una lotta intestina all’interno della Federazione russa. Affar loro, in sintesi.
Per mettere in scena tutto quest’orrore umano Hazanavicius si è ispirato a Odissea tragica di Fred Zinnemann del 1948, divedendo l’impianto narrativo del film in tre macro sezioni che fanno capo ad altrettanti personaggi, con un andamento circolare. Ma andiamo con ordine: il piccolo Hadj assiste all’uccisione dei suoi genitori per mano dei soldati russi, riuscendo a scappare col fratellino in fasce, nato da poco, senza essere visto dalle milizie; dall’altra parte Raïssa, sua sorella, scampata alla morte, si mette alla ricerca dei fratelli attraverso una Cecenia devastata dalla guerra; parallelamente l’occhio di Hazanavicius si sposta su Kolia, un ragazzo che, suo malgrado, è arruolato nelle milizie russe, diventando un cinico soldato all’ombra del Cremlino. Il piccolo Hadji troverà sul suo cammino Carole, una delegata dell’’Unione Europea per i diritti umani che cercherà di prendersi cura di lui, mentre sua sorella disperatamente setaccia villaggi in lungo e in largo cercando gli unici sopravvissuti della sua famiglia.
The Search si muove su questa linea tripartita, inseguendo le storie dei personaggi, cadenzando la progressione narrativa attraverso episodi alternati che ci introducono in quest’odissea di dolore: l’intento di Hazanavicius, s’intuisce fin da subito, è quello di tessere a tutti i costi un filo empatico tra le vicende dei protagonisti e lo spettatore, e per riuscirci sceglie la via più diretta, più facile, più “furba”, in altre parole quella di un pietismo esasperato che rischia più di una volta di far deragliare il film dai binari del war movie a quelli di un ostentato melò bellico. Il seppur bravissimo Abdul Khalim Mamutsiev nei panni del piccolo Hadji, appare una pedina mossa sapientemente per smuovere l’automatica commozione, e il suo rapporto con Berenice Bejo (una sottotono e mai in parte delegata ONU) risulta troppo appesantito da una retorica ridondante e semplicistica, che vorrebbe simboleggiare la noncuranza del dramma da parte dell’occidente ma che si risolve con un banale discorso alle Nazione Unite che la donna declama ad auditori distratti e poco interessati.
Il film di Hazanavicius appare sempre incerto su quale direzione voglia prendere, ritrovandosi appesantito da momenti e situazioni che cercano di incastrarsi tra loro, facendo i conti anche con l’eccessiva minutaggio dell’opera, che poteva essere sfoltita per raggiungere una maggiore coesione corale. Anche la vicenda di Kolia, che da spensierato ragazzo viene plasmato in cinica e spietata macchina di morte, ricalca la già vista e rivista parabola della disumanizzazione che la guerra perpetra nelle menti di chi la vive.
Se sul piano del plot narrativo The Search risulta evidentemente carente, lo stesso non può dirsi relativamente al comparto tecnico dell’opera, dove comunque l’ingente budget viene sfruttato bene e la regia di Hazanavicius appare comunque buona e sorretta da un’ottima fotografia che vira tutto in un grigiore che odora di macerie e polvere. Dall’epopea del muto alla crudeltà della guerra il passo non è semplice, e Hazanavicius, dopo una serie di commedie, appare non ancora pronto per confrontarsi con temi così seri e difficili.
Giacomo Perruzza