Ora o mai più
Se il mattino ha l’oro in bocca, il buongiorno si vede dal mattina e chi ben comincia è a metà dell’opera, allora per Adrian Moyse Dullin si prospetta una carriera dietro la macchina da presa ad altissimi livelli se si pensa ai risultati straordinari ottenuti alla sua primissima esperienza da regista. Il suo debutto sulla breve distanza dal titolo The Right Words, prima di arrivare in concorso alla sesta edizione del Saturnia Film Festival, è stato protagonista di un percorso festivaliero davvero invidiabile, che lo ha visto prendere parte a kermesse prestigiose come Cannes, Sundance e Palm Springs, per poi ricevere una meritatissima candidatura nella categoria cortometraggi ai premi César 2023.
Con la speranza che il suo non sia stato un colpo di fortuna e che possa confermarsi in futuro, il regista francese ha messo la propria firma su un teen-romance delicato e leggero come una piuma, ma che al contempo conosce la strada per arrivare diritto al punto e al cuore dello spettatore senza troppi giri di parole. L’autore, con la complicità in fase di scrittura di Emma Benestan ed Éléonore Gurrey, racconta un coinvolgente paragrafo del capitolo di un romanzo di formazione ed educazione sentimentale. I protagonisti sono la ragazzina quindicenne Kenza e il fratellino tredicenne Madhi, che si umiliano regolarmente a vicenda sui social media. Un giorno, sull’autobus, la ragazza mette alla prova il fratellino ingenuo e romantico professando il suo amore per Jada, la ragazza che Madhi ama, pur non conoscendolo.
Il tutto si consuma, accompagnato dalle note del Concerto in mi minore per violino, archi e basso continuo RV 278 Allegro Molto di Antonio Vivaldi, in un’unità spazio-temporale che fa di The Right Words un kammerspiel su quattro ruote, che funge da palcoscenico di un crocevia di sentimenti, rivelazioni, screzi e dispute amorose, l’interno di un autobus di linea che gira per le strade di Parigi. Temi e stilemi del coming of age sono la linfa vitale e drammaturgica di un racconto lineare e minimalista, capace però di trasmettere allo spettatore spunti di riflessione tutt’altro che superficiali e tutti gli stati d’animo che attraversano i giovani interpreti nei quindici giri di lancetta che delimitano l’arco narrativo. La macchina da presa di Adrian Moyse Dullin con taglio semi-documentaristico osserva gli eventi quasi spiandoli, quasi fosse un testimone silenzioso della vicenda, lasciando ai personaggi e ai talentuosi ed espressivi attori che ne vestono i panni (tra cui segnaliamo Aya Halal, Yasser Osmani e Sanya Salhi) il compito di riempire la scena.
Francesco Del Grosso