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Il barbiere complottista

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VOTO: 8

Un morbo contagioso

Per il suo nuovo cortometraggio dal titolo Il barbiere complottista, Valerio Ferrara non poteva desiderare debutto migliore. La vittoria del primo premio nella sezione “Cinef”, quella che il Festival di Cannes dedica alle opere provenienti dalle scuole di cinema di tutto il mondo, oltre al prestigio, ha dato il via a un altrettanto fortunato percorso festivaliero che nei mesi successivi ha fatto tappa in moltissime kermesse nazionali e internazionali tra cui il Saturnia Film Festival. Manifestazione, quella toscana, che ha visto il giovane e talentuoso regista capitolino uscito dalla fucina del Centro Sperimentale di Cinematografia tornare in concorso anche nella sesta edizione, laddove un anno prima aveva conquistato il premio per la migliore sceneggiatura con Notte romana.
Dopo lo scontro di classe andato in scena nel corto del 2021, con il suo saggio di diploma al CSC l’autore affina ulteriormente le armi tanto della scrittura quanto nella messa in quadro per raccontare le disavventure di un barbiere di un quartiere popolare romano deriso continuamente in famiglia e al lavoro per la sua fiducia nelle teorie del complotto. A seguito del suo arresto, nella speranza di ricevere attenzioni e affetto dai suoi cari, finisce per contagiare tutta la comunità con il morbo del complottismo.
Come “palcoscenico” Ferrara sceglie ancora una volta la periferia capitolina ed è qui che si consuma la storia di un uomo comune caduto nel vortice delle teorie del complotto, che lo portano a credere e a elaborare teorie su tutto, compresa l’intermittenza dei lampioni nelle strade delle grandi città. Nell’arco narrativo di due giorni e una notte, lo spettatore viene catapultato senza rete di protezione della vita del protagonista, nei panni del quale si è calato un Lucio Patané perfettamente in parte, che nel suo modo di dare corpo e verità alle ossessioni del personaggio riporta alla mente, con le dedite distanze del caso, tanto il Vittorio Barletta interpretato da un grandissimo Nino Manfredi ne Il giocattolo di Giuliano Montaldo quanto il tassista Jerry Fletcher affidato a Mel Gibson di Ipotesi di complotto di Richard Donner.
Con questo piccolo racconto metropolitano dalle atmosfere ansiogene che ha il retrogusto della commedia sarcastica, il regista ha provato – a nostro avviso riuscendoci – a mostrare quanto delle teorie grandi o piccole che siano possano essere contagiose e quanto alla pari di un morbo le persone che vi entrano in contatto siano facilmente contagiabili. Dietro questa parabola sviluppata e compressa nel formato breve c’è una volontà precisa dell’autore e dei suoi compagni di scrittura (Alessandro Logli e Matteo Petecca) di ammonire e puntare il dito verso una fetta di Società che vede e vuole vedere una minaccia ovunque e che si sente costantemente sotto attacco da forze e poteri superiori e invisibili che operano nell’ombra. Lo fa senza ricorrere a una morale a buon mercato e senza mezze misure, andando diritto al sodo e “utilizzando” per la causa un povero signor Rossi, una manciata di situazioni inquietanti e dei dialoghi taglienti. Il tutto incapsulato in un cortometraggio che attraverso la confezione fotografica e registica si fa da subito portatore di atmosfere e codici di genere tra noir e thriller vecchia scuola.

Francesco Del Grosso

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