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Slalom

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VOTO: 6.5

A corpo morto

Nello sci alpino la disciplina dello slalom – sia esso denominato speciale o gigante, a seconda della pendenza e della distanza tra le porte – consiste nel percorrere un determinato tragitto nel più breve tempo possibile. Appare quindi abbastanza ovvio che la regista francese Charlène Favier abbia scorto in tale tipo di gara una perfetta metafora esistenziale su cui basare la propria opera d’esordio nel lungometraggio, dopo una filmografia costellata di cortometraggi di interessante riuscita.
Slalom racconta la storia di Lyz Lopez (interpretata dalla giovanissima Noée Abita, autentico fulcro emotivo dell’opera), adolescente di quindici anni considerata una promessa dello sci. Scelta tipica: nel tentativo di tirar fuori una campionessa da questa ragazza inquieta, la madre ne affida i destini ad una sorta di accademia dove sua figlia si allenerà e studierà, sotto la severa ala, ruvida e non troppo protettiva, di Fred (un Jérémie Renier ormai abbonato a ruoli di questo tipo), esperto allenatore. Riuscirà la giovane Lyz a percorrere indenne il cammino verso la gloria?
Le intenzioni della Favier – anche cosceneggiatrice di Slalom assieme a Marie Talon – appaiono chiare sin dalle prime battute del film. Realizzare un racconto in cui la formazione sportiva si innesti con le difficoltà della crescita, puntando per l’appunto i riflettori su un’adolescente sola e per questo costretta a crescere anzitempo. Un sottogenere cinematografico ormai del tutto metabolizzato al quale Slalom non pretende di apportare significative novità narrative. La trama si evolve infatti all’insegna della massima prevedibilità, tra momenti di sconforto per l’iniziale trattamento semi-militaresco di Fred nei confronti di Lyz e vita di sacrificio nel nome del successo sportivo. Vittorie che, grazie al talento di Lyz, arriveranno presto, sia pure a caro prezzo. Comportando anche un differente atteggiamento di Fred nei confronti della ragazza. Lasciamo allo spettatore il piacere – ma parlare di sviluppi sorprendenti parrebbe davvero eccessivo – di apprendere cosa accadrà in seguito a Lyz, tra traguardi sempre più elevati e scoperta della propria femminilità in sboccio. Si dovrebbe piuttosto sottolineare l’approccio estremamente sincero ricercato dalla cineasta esordiente, che non risparmia né al personaggio principale e nemmeno agli spettatori un viaggio nel lato oscuro che comporta la vittoria e la conseguente fama. E la scelta, molto saggia, della Favier, allo scopo di superare di slancio i possibili luoghi comuni di una vicenda simile, è stata quella di affidarsi in tutto e per tutto all’interpretazione di Noée Abita. Un talento assoluto capace di sorprendere per spontaneità e sincerità, un volto sul quale leggere in controluce le emozioni più variegate, tra rabbia tipicamente adolescenziale e autocontrollo femminile componente indispensabile per una campionessa in fieri. Ed è per suo principale merito – e di una regia che ne segue ed asseconda gli sbalzi d’umore – se Slalom merita una visione non distratta, anche per comprendere meglio tutto ciò che veramente si cela dietro il dorato mondo in cui lo sport incontra lo show-business: un meccanismo infernale dove mantenere un certo equilibrio mentale indispensabile per la sopravvivenza risulta essere l’impresa più dura. In misura ben maggiore di quella di tagliare un traguardo con qualche centesimo di secondo in più o in meno. Quelli che alla fine fanno la differenza in un mondo sin troppo diviso tra vincenti e perdenti.
Selezionato per il Festival di Cannes 2020 poi cancellato causa pandemia, Slalom è stato presentato al pubblico italiano nell’ambito del Mescalito Biopic Fest 2021. Un recupero, possiamo affermare a posteriori, senz’altro doveroso, a prescindere dai difetti menzionati in queste poche righe. Del resto un qualsiasi slalom non è mai esente da passaggi difficoltosi. L’importante è sempre trovare il modo di superarli, proiettandosi poi a corpo morto verso il traguardo finale.

Daniele De Angelis

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