Il canto delle sirene
Coloro che avranno la possibilità di vedere The Lure, compresi gli spettatori della 21esima edizione del Milano Film Festival dove la pellicola è stata presentata nel concorso lungometraggi, dovranno giorcoforza dimenticare tutto quanto quello che da decenni è legato alla storia, alla magia e all’immaginario, della celeberrima fiaba di Hans Christian Andersen “La Sirenetta”. Si perché del libro dello scrittore danese, pubblicato per la prima volta nel lontano 1836 e già oggetto di una serie di libere e fedeli trasposizioni per il piccolo e il grande schermo, l’opera prima di Agnieszka Smoczyńska è senza ombra di dubbio la variazione più estrema, dissacrante e fuori dagli schermi, tra quelle prodotte sino a questo momento. Di conseguenza, quella firmata da Ron Howard nel 1984 dal titolo Splash – Una sirena a Manhattan, basata su una premessa analoga a quella della storia di Andersen, ma con uno svolgimento completamente diverso, a confronto è una storiella per grandi e piccini. Allo stesso modo The Lure è una rilettura che trae spunto da quel personaggio, per poi prenderne immediatamente le distanze.
Del resto, basta dare una fugace occhiata alla sinossi per rendersi immediatamente conto a cosa, la fiaba e il suo immaginario, vengono sottoposte in fase di scrittura e di trasposizione. Ci troviamo catapultati in un battito di ciglia nella vita dei frequentatori di un dance club di Varsavia, dove irrompono d’incanto due sorelle sirene, Srebrna (Argento) e Zwota (Oro), che immediatamente danno sfoggio delle loro doti musicali e vengono ingaggiate come cantanti di un gruppo. L’idillio dura fino a quando Srebrna non si innamora del bassista della band, suscitando la sanguinosa gelosia di Zwota. Ne scaturisce una truculenta guerra fratricida, che si riversa in una favola per adulti che è al contempo una love story romantica e impossibile, un body-horror intriso di sangue e sprazzi di inaudita violenza, un’irresistibile commedia carica di sfrenato erotismo e un musical pop e barocco scandito da hit di successo rivisitate che pescano dai più disparati generi musicali.
Questo e molto altro ancora è l’esordio nel lungometraggio della giovane artista visuale polacca che gioca a mescolare senza soluzione di continuità i generi più disparati e con essi i rispettivi linguaggi, stilemi e istanze, sino ad ottenere una maionese impazzita folle e a tratti anche divertente, che non risparmia alla spettatore di turno anche qualche dose splatter e una mezza dozzina di scene cult, a cominciare da quella lesbo tra la poliziotta e Zwota. Insomma, l’originalità, o quantomeno il tentativo di esserlo sempre e comunque, è il punto di forza di The Lure, ma anche il suo peggior nemico. La ricerca costante di situazioni narrative e di soluzioni visive (vedi il piano sequenza della camminata notturna di Zwota tra le stanze dell’appartamento del gruppo musicale) non in linea con quelle più classicheggianti, sono e possono essere motivo di interesse e calamitare l’attenzione del fruitore, ma in altre casi saturare eccessivamente la timeline sino a farla strabordare. Ciò non consente al film e alla sua autrice di raggiungere un equilibrio e un giusto dosaggio dei tanti elementi chiamati in causa. Ciononostante, la pellicola della Smoczyńska lascia un buon ricordo di sé, anche per il modo surreale, politicamente scorretto e sopra le righe, con cui la cineasta polacca si approccia e affronta il tema della diversità e dell’immigrazione.
Francesco Del Grosso