Mostri nell’ombra e incubi ricorrenti
Tra i più rilevanti lungometraggi in concorso al TOHorror Film Festival di quest’edizione e anche vincitore di una Menzione Speciale “Per la raffinata ricerca estetica e stilistica, i numerosi rimandi a classici intramontabili e una spiccata personalità che lo differenziano da numerose opere contemporanee“, emerge sicuramente l’horror gotico The Black Gloves dello scozzese Lawrie Brewster, film che ci catapulta anima e corpo negli anni Quaranta. Girato in un bianco e nero sofisticato e rarefatto, combina le atmosfere raffinate tipiche del cinema noir e una tensione psicologica che avvolge e attanaglia tutti i personaggi come la nebbia delle campagne scozzesi che ammanta la pellicola.
La storia ruota attorno al personaggio del Dottor Galloway (Jamie Scott Gordon), uno psicologo ossessionato dalla scomparsa di una sua giovane paziente, tormentata e minacciata dalle visioni di una creatura misteriosa con la testa a forma di gufo; le sue investigazioni lo porteranno a incontrare la famosa ex-ballerina Elisa Grey (Alexandra Nicole Hulme), anche lei convinta di essere perseguitata dalla stessa entità soprannaturale e che vive in reclusione in una villa, sotto la stretta sorveglianza di Lorena Velasco, la sua severissima insegnante di danza, interpretata con intensità quanto mai sinistra dall’iberica Macarena Gómez (Shrew’s Nest del 2014 e Dagon – La mutazione del male del 2001), qui forse un po’ troppo sopra le righe.
La spaventosa figura mitologica dell’Uomo Gufo, creatura diabolica e antica che invade il mondo onirico, già presente nel precedente film di Brewster (Lord of Tears, del 2013) e che in verità somiglia molto al serial killer di Deliria (1987) di Michele Soavi, conferisce a The Black Gloves un tocco malefico e al contempo ricco di fascino e contribuisce a elevare i toni già notevolmente alti dell’ansia e dell’inquietudine. La sceneggiatura di Sarah Daly, alla sua terza collaborazione con il regista dopo appunto Lord of Tears e The Unkindness of Ravens (2016), si concentra soprattutto sui rapporti morbosi e ambigui che intercorrono tra i personaggi e sulla destabilizzante e continua contrapposizione tra sogno e realtà. Non tutto funziona alla perfezione e qualche momento di noia spunta qua e là, ma è indubbia la suggestione magnetica di molte scene, grazie anche alla superba fotografia (curata da Michael Brewster e Gavin Robertson) grazie alla quale sembra di assistere a dei dipinti in continuo movimento.
In definitiva, Brewster con The Black Gloves confeziona un piccolo gioiello che omaggia con classe il cinema del passato (evidenti i richiami soprattutto a Hitchcock e in primis a Rebecca) con uno stile raffinato e personale, ritagliandosi un ruolo significativo nel panorama horror indipendente odierno.
Ilaria Dall’Ara