A che servono i poeti?
Con Lawrence Ferlinghetti, venuto a mancare nel febbraio 2021 alla bella età di 101 anni, si è spenta l’ultima voce legata alla Beat Generation, che ha unito i poeti americani del dopoguerra in un movimento ribelle, anarchico, pacifista ed umanista; l’ultima voce di un mondo che oggi non esiste più. The Beat Bomb, per la regia di Ferdinando Vicentini Orgnani e con la musica originale di Paolo Fresu, porta sul grande schermo il suo più autentico ritratto, frutto di più di un decennio di amicizia e collaborazione tra San Francisco e l’Italia.
In concorso al Biopic Fest 2023, è stato proiettato sugli schermi del Cinema dei Piccoli (il più piccolo cinema d’Italia, un vero bijou della Capitale) a Villa Borghese, ma ne auspichiamo una più ampia diffusione sui canali di stato e comunque su larga scala in tutto il Paese, trattandosi di un importante docufilm simbolo di un’epoca e di valori dimenticati dalla follia consumistica dei tempi moderni che è giusto, e bello, non solo ricordare ma finanche ritrovare.
The Beat Bomb ha un andamento tutt’altro che lineare; come un’opera beat, mette insieme sprazzi di storia e di ricordi, testimonianze, immagini che partono dalla nostra Italia in cui Ferlinghetti ha le proprie radici (il padre era originario di Brescia, emigrato negli States) per approdare in una San Francisco d’epoca e moderna, in un puzzle di emozioni che si intersecano e coinvolgono lo spettatore in un viaggio nel tempo e nel cuore, accompagnato per mano dalle note jazz di Fresu. Ecco sullo schermo i volti dell’epoca, da Ferlinghetti stesso a Jack Hirschman, alternarsi a immagini più recenti degli stessi e delle attrici Amanda Plummer e Joanna Cassidy, mentre dall’Italia un pimpante Michele Placido recita in coppia con Giorgio Albertazzi A che servono i poeti?; un mosaico di personaggi, di racconti, apparentemente privi di un filo logico ma potenti come pennellate espressionistiche di colore che rendono allo spettatore, nella visione d’insieme, un quadro imponente e perfetto di un mondo che la poesia della beat generation ha lottato per cambiare.
Lawrence Ferlinghetti è stato più di un poeta: la creazione, con Peter D. Martin (anche lui di origini italiane), della libreria City Lights nel cuore del vecchio quartiere italiano di San Francisco ha fatto di lui il profeta della Beat Generation. La libreria, a tutt’oggi ricordata come ritrovo degli artisti e protagonisti dell’epoca beat, ha infatti successivamente affiancato alla sua attività quella di casa editrice, dando voce e risonanza alla Poesia Beat ed ai suoi interpreti; sono ancora distinguibili, tra gli altri, gli echi dello scandalo seguito alla pubblicazione della raccolta di poesie – giudicata oscena – di Allen Ginsberg, “L’Urlo”. Poeta, editore, punto di incontro di una gioventù postbellica che sognava un mondo pacifico e privo di ingiustizie sociali, Ferlinghetti è il simbolo di una generazione che ha usato il beat (la poesia, il ritmo, il battito) come bomba per cambiare le cose. E nel flusso di ricordi, non mancano gli spunti politici contro le lobby delle armi che spingono ai conflitti continui né quelli sociali, con le crude immagini di una San Francisco dei clochard, anime che hanno perduto non tanto la loro ricchezza materiale quanto la loro anima, devastata dalle guerre cui hanno partecipato (e sulla questione dei veterani negli Stati Uniti sarebbe da girare una altro documentario).
Lawrence Ferlinghetti, Jack Hirschman e gli altri poeti della Beat Generation hanno sognato una società che oggi, alla luce dei recenti conflitti mondiali, definiremmo utopica; ma io credo che il mondo appartenga invece proprio ai sognatori ed ai poeti (in Italia, ricordiamo il cantante poeta De André, altro pittore degli ultimi), che hanno il potere di cambiarlo con la loro immaginazione e le parole libere da sovrastrutture e condizionamenti. La Beat Generation è sempre viva.
Michela Aloisi