Il volto torbido del Giappone
Alla 40ma edizione del Fantafestival, un omaggio a Osamu Tezuka, il Walt Disney giapponese creatore del manga moderno, di cui ricordiamo serie cult come Astroboy e La Principessa Zaffiro; in anteprima italiana, il live action diretto dal figlio dell’autore, Macoto Tezka (AKA Makoto Tezuka), tratto dalla graphic novel del padre, Barbara, vincitore anche del Pipistrello d’Oro come miglior film in concorso con la seguente motivazione: “per la sua rappresentazione di una storia d’amore fuori dagli schemi e all’insegna del weird, che trascende il genere soprannaturale con una cifra stilistica di grande impatto visivo, in cui eccelle la raffinata fotografia del maestro Christopher Doyle”.
“Una donna simile ai rifiuti consumati e digeriti da una città di milioni di persone: ecco com’era Barbara“; l’incipit del film, che apre e chiude il cerchio della storia, racchiude il senso profondo dell’opera di Tekuka. Uno scrittore in crisi incontra una misteriosa ragazza senza fissa dimora, abbandonata sulle scale della metropolitana come un cane randagio, dando vita ad un dramma sentimentale in bilico tra realtà e follia. Tra allucinazioni sessuali perverse di manichini e cani che diventano donne, riti magici e voodoo, personaggi come la madre di Barbara (contemporanea Mnemosine) caratterizzati come perfetti villain da fumetto, una ex fidanzata vendicativa che vuole la sua distruzione, il romanziere Mikura si perde nella passione e viene inghiottito da una spirale nera.
Il fumetto di Tezuka è immerso nella contemporaneità degli anni Settanta in cui fu creato; racconta di un rapporto uomo-donna dai tratti morbosi ed inquietanti, che richiama la repressione e la conseguente perversione sessuale del maschio giapponese e, allo stesso tempo, la difficile affermazione della donna nella società nipponica, senza trascurare la denuncia sociale verso le metropoli che fagocitano l’umanità dei loro abitanti. Il visionario live action Tezuka’s Barbara mantiene intatte questa caratteristiche, rese ancor più cupe da una regia onirica e cruda, sensuale e violenta, che scava nel torbido dell’animo umano e lascia i protagonisti liberi di abbandonarsi agli istinti primordiali, per saziare la fame di conoscenza attraverso la carne, cui si affianca una fotografia ricercata ed elegante, che danno al film un impatto visivo indelebile.
Michela Aloisi