Il gioco delle coppie
Era il 1976 quando la coppia formata da Luciano Rossi e Gianni Belfiore firmava “Se mi lasci non vale”, brano storico portato al successo nello stesso anno da Julio Iglesias. Da allora, il testo, la melodia e l’inconfondibile ritornello, si sono andati a stampare a caratteri cubitali nella mente di intere generazioni. A quarant’anni di distanza, il ricordo di quella canzone non si è ancora spento e probabilmente non si spegnerà mai. Questo suo essere senza tempo probabilmente l’ha consegnata all’immaginario, trasformandola nella colonna sonora per antonomasia che ha e continua ad accompagnare la fine di una storia d’amore. Inevitabile dunque che sia diventata con il passare dei decenni oggetto di citazione anche da parte della Settima Arte, chiamata in causa in film come La patata bollente di Steno prima e La valigia sul letto di Eduardo Tartaglia poi. Nessuno, cinematograficamente parlando, aveva però ancora avuto l’ardore di omaggiarla prendendone in prestito il titolo per battezzare la propria pellicola. Ma adesso quel momento è arrivato, con Vincenzo Salemme che lo ha scelto per la sua ultima fatica dietro la macchina da presa, la decima per la precisione, che arriva nelle sale nostrane a partire dal 21 gennaio con Warner Bros. Pictures.
È pratica comune che, da qualche stagione a questa parte, sulla scia di quelli che negli anni Sessanta prendevano il nome di “musicarelli”, si è tornati a utilizzare i titoli di celeberrime canzoni per accompagnare la distribuzione dell’opera di turno (da Notte prima degli esami a Questo piccolo grande amore, da Il cielo in una stanza a Baciami piccina, passando per Ricordati di me). Ma mai come in questa un’occasione la citazione appare furba e pretestuosa, perché del suddetto brano, nella nuova commedia dell’attore e regista partenopeo, scritta a sei mani con Martino Coli e Paolo Genovese, non vi sia alcuna traccia, nemmeno musicale. Le uniche, seppur flebili possibili assonanze, trovano semmai un parziale riscontro nel plot, che vede i due protagonisti accomunati dallo stesso triste destino: entrambi sono stati lasciati dalle proprie compagne. Una sera, Vincenzo e Paolo si incontrano per caso in un locale, si riconoscono l’uno nel dolore dell’altro e fanno subito amicizia. Tuttavia le delusioni amorose continuano a bruciare come il primo giorno, finché Vincenzo non ha l’illuminazione: l’unico modo per smettere di star male e voltare pagina è la vendetta! I due escogitano dunque un piano machiavellico per infliggere alle loro ex la stessa sofferenza subita. Ciascuno di loro dovrà avvicinare la ex dell’altro, conquistarla facendo leva sugli interessi e i punti deboli rivelati dall’amico, farla innamorare perdutamente e poi lasciarla senza pietà. È così che Paolo dovrà fingersi un vegano convinto per avvicinare Sara, la ex di Vincenzo, mentre quest’ultimo dovrà calarsi nei panni di un ricco magnate, per colpire al cuore Federica, la ex di Paolo che sembra interessata solo al potere e al denaro. Per aiutarli nell’impresa fa il suo ingresso in scena Alberto, un teatrante sui generis ingaggiato per fingersi l’autista, con tanto di divisa ufficiale, e rendere più verosimile l’interpretazione di Vincenzo. E tutto diventerà ancora più rocambolesco!
Non ci vuole tanto a scorgere nella sinossi il dna della classica commedia degli equivoci in chiave sentimentale, costruita da Salemme sulla fondamenta di un racconto ridotto all’osso (per certi versi richiama alla mente L’amore non va in vacanza di Nancy Meyers) e su una serie di personaggi disegnati su identikit caratteriali ben noti alle cronache della Settima Arte, per di più affidati oltre che a se stesso ad abituali compagni di viaggio come Tosca D’Aquino o Carlo Buccirosso (si segnala la piacevole partecipazione della new entry Paolo Calabresi a ravvivare la truppa). Questo fa di Se mi lasci non vale l’ennesimo “puzzle” di situazioni divertenti e battute più o meno riuscite, ma decisamente datate e poco originali, che in più di una circostanza hanno già fatto capolino all’interno di una filmografica con pochissimi alti e moltissimi bassi. Il ritmo e i tempi comici che accompagnano il racconto fanno parte del suo bagaglio teatrale e cinematografico, per cui quello che arriva sullo schermo appare agli occhi e alle orecchie del pubblico che ha con esso una certa familiarità, come una ricetta messa in dispensa per poi essere riproposta ogniqualvolta se ne presenta l’occasione giusta.
Francesco Del Grosso