Come ti cambio l’Afghanistan
Semplice operazione di casting. Reclutare un Bill Murray al top del proprio leggendario spirito sardonico nei panni di uno sfigatissimo manager musicale e mandarlo in Afghanistan a scoprire casualmente il più grande talento vocale femminile che gli sia capitato di vedere. La riuscita di Rock the Kasbah in fondo è tutta qui, perché il film non incide come avrebbe potuto sul piano dell’incontro/scontro tra culture differenti. Dalla sceneggiatura di Mitch Glazer – tra e altre cose creatore della notevole serie televisiva Magic City, nonché sceneggiatore di S.O.S. Fantasmi, interpretato proprio da Murray, nel lontano 1988 – sarebbe stato lecito aspettarsi qualche guizzo d’intelligenza in aggiunta, nell’ambito di uno script che pareva aver servito su un piatto d’argento una bella satira anti-militaresca e anti-fondamentalista sulla falsariga di un Mash dei bei tempi andati. Purtroppo anche la decisione di affidare la regia al veterano Barry Levinson non ha giovato molto alla causa: i tempi di Toys (1992) – ma pure del fuori contesto The Bay (2012), horror in P.O.V. che a tutt’oggi rappresenta un’originale anomalia nella sua filmografia – paiono irrimediabilmente lontani, con il settantunenne cineasta originario di Baltimora a portare a casa il risultato senza il minimo sforzo ulteriore.
Resta allora da godere il mitico Bill Murray, capace di donare spessore ad un personaggio, quello di Richie Lanz. da lui interpretato dozzine di volte ma sempre arricchito, grazie alla sua classe cristallina, di nuove sfumature. Lontanissimo da qualsiasi tentazione gigionesca in Rock the Kasbah affronta petto in fuori migliaia di anni di atavica tradizione negativa sulla parità dei diritti nei confronti delle donne e ne esce – un po’ inverosimilmente a dire il vero; ma è noto che vedere un film comporta una preventiva sospensione di credulità… – vincitore. Supportato nell’impresa dalla grazia interpretativa della giovane Leem Lubany, impegnata a donare alla sua Salima – ragazza pashtun abituata a vivere in una grotta ma dalla voce sublime – le caratteristiche un nuovo simbolo di riscossa femminile per il suo paese e l’intero universo islamico. Mezzo di concretizzazione del riscatto, ovviamente, la televisione, attraverso la sua rocambolesca partecipazione ad un programma canterino sulla scia di American Idol o X Factor, prima donna ad esibirsi in assoluto. Dispiace che Rock the Kasbah, in fondo, si limiti a raccontare la solita favola a lieto fine, pur tra mille peripezie, del felice processo di “occidentalizzazione” di un paese islamico. In tempi di terrore firmato Isis questo significa voler vincere facile, senza alcuna propensione al rischio di raccontare pure le storture della parte “buona”, quella con lo stemma a stella e strisce. E infatti, dimostrazione di ciò, i characters interpretati da Kate Hudson (una prostituta americana dal cuore d’oro) e Bruce Willis (un mercenario statunitense solo in apparenza duro ma in realtà, manco a dirlo, anch’egli dal cuore d’oro) testimoniano in modo flagrante come la positività d’intenti regni da una parte sola, a dispetto di uno scenario sensibilmente più complesso.
Ci si augura comunque che l’impianto narrativo – una didascalia alla fine avverte tratto da una storia realmente accaduta ad una ragazza afgana cui il film è dedicato – possa servire nel proprio piccolo a supportare la giusta causa del riscatto femminile nei paesi dove le donne vengono ancora considerate alla stregua di un oggetto da tenere quanto più possibile nascosto. Mentre, per i fan del grande Bill Murray, c’è lui in persona. Mina vagante alla Adrian Cronauer – ricordate il dj di Good Morning, Vietnam (1987), tanto per citare un lavoro maggiormente ispirato di Levinson – in un universo sempre sul punto di esplodere. Se poi si tratterà di un big bang foriero di un nuovo e migliore assetto per tutti, questo sarà la Storia a dirlo. Non certo un film come Rock the Kasbah, che comunque si lascia vedere senza particolari controindicazioni.
Daniele De Angelis