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No Men Beyond This Point

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VOTO: 7

Maschi sull’orlo dell’estinzione

Il documentario in questione esordisce con riprese che cercano di riassumere la quotidianità di Andrew Myers, apparentemente un uomo come tanti, ancora giovane sebbene non giovanissimo, che ha deciso di lavorare come factotum domestico per una famiglia di sole donne.
Fin qui l’atmosfera può apparire stramba, insolita, per quanto non contraddica apertamente la realtà come la conosciamo. Ma quando veniamo a scoprire che Myers, all’età di 37 anni, è l’ultimo essere umano di sesso maschile nato sulla Terra, con pochi uomini più anziani di lui ancora a fargli compagnia, allora la faccenda comincia a farsi decisamente più interessante.

Come avrete già perfettamente intuito, aver definito No Men Beyond This Point un documentario è solo il piccolo, goliardico depistaggio che abbiamo utilizzato, per introdurre con un minimo di pathos il brillante mockumentary diretto dal canadese Mark Sawers.
In questo arguto e a sprazzi divertententissimo lungometraggio, si è voluto rivisitare con una certa originalità il filone “eucronico” della tradizione fantascientifica, quello per cui si va a immaginare – con finalità che qui si riveleranno principalmente satiriche – uno sviluppo completamente diverso, per epoche della storia umana di cui vengono presentati alcuni tratti facilmente riconoscibili, prima di introdurre le spesso sostanziali modifiche.
Nello specifico il cineasta nordamericano, per approdare all’emblematica figura dell’ultimo maschio nato sulla terra, ha ipotizzato che nel corso degli anni ’50 del Novecento alcuni mutamenti abbiano totalmente sconvolto l’atto della riproduzione nella razza umana: a partire dal 1953 si sarebbero verificati sempre più casi di donne capaci di mettere al mondo figli (rivelatesi però tutte femmine) senza l’intervento degli uomini, mentre gli uomini avrebbero perso progressivamente la possibilità di fecondare le donne.
Già aver immaginato la genesi di un simile sconvolgimento sociale in un decennio così reazionario, conformista, ostile alle rivendicazioni delle donne e delle minoranze, quale storicamente è stato – soprattutto negli Stati Uniti – quello caratterizzato dal delinearsi della “Guerra Fredda”, è indice del carattere attento, meditato dell’operazione.

Il quadro sociale che i diversi materiali assemblati nel mockumentary esprimono, senza che da parte nostra ci sia tempo di ripercorrere tutte le tappe di una ricostruzione che ci è parsa brillante anche sul piano del ritmo, va in direzione di una sfrenata ironia, che all’inizio prende di mira soprattutto il carattere soffocante delle religioni abramitiche e i più torvi cliché, relativi al controllo maschile sulla politica e sulle altre sfere della vita famigliare e comunitaria.
Ma dopo, coi maschi sull’orlo dell’estinzione e portati senza particolare sforzo a vivere nelle riserve (o “santuari”, come vengono qui chiamati), ci sarà spazio anche per qualche frecciatina nei confronti del femminismo più radicale. Fino a un epilogo sorprendentemente conciliatorio (ma con l’ennesima stoccata in chiusura, quasi a tener vivo il dibattito), che vedrà protagonista proprio Andrew Myers, il simpatico e comunque generoso antieroe dalla cui (fittizia) vicenda personale eravamo partiti.

Stefano Coccia

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