Avere un omino di latta per amico
Quando a La Nueva Ola – Festival del Cinema Spagnolo fa capolino il cinema d’animazione, è sempre attraverso produzioni artisticamente, narrativamente, qualitativamente di assoluto rilevo. Basti pensare a quel piccolo caso cinematografico che fu Arrugas – Rughe di Ignacio Ferreras. Abbiamo approfittato dell’edizione 2024 per recuperare al Barberini di Roma, non in concorso anche perché col titolo Il mio amico robot era già stato distribuito nelle sale ad aprile da I Wonder Pictures, un lungometraggio altrettanto apprezzabile come Robot Dreams, prima esperienza del talentuoso cineasta spagnolo Pablo Berger a livello di animazione. Quasi destino che vi approdasse, considerando che col suo acclamato Blancanieves, versione muta, in bianco e nero e sostanzialmente anti-disneyana della celebre fiaba, aveva comunque dimostrato di saper produrre salutari cortocircuiti nell’immaginario fantastico.
Del resto anche in Robot Dreams il regista dà prova di poter ribaltare in qualsiasi momento gli stereotipi cari alla Disney, a partire magari dalla presenza di personaggi antropomorfi, suscitando emozioni contrastanti che spaziano dalla tenerezza al cinismo senza in ogni caso esibire alcunché di zuccheroso, rimandando semmai a modelli di animazione ben più salaci, tendenzialmente satirici, quale può essere (vista anche la somiglianza della coppia protagonista con certi suoi strambi eroi) una serie come Futurama. La vicenda è ambientata infatti in una New York immaginaria popolata da animali dalla postura e dai comportamenti umani. Tra i quali vi è Dog, un solitario, che per vincere la malinconia si è lasciato convincere da qualche pubblicità di grido ad acquistare un “robot amico”. Insieme vivranno momenti indimenticabili. Ma per colpa di un grottesco incidente “acquatico” il cane protagonista si vedrà costretto ad abbandonare per qualche mese l’amico robotico, rimasto ad arrugginire su una rinomata spiaggia che le autorità, a fine stagione, sono solite chiudere al pubblico.
L’avventura naturalmente non si concluderà qui. Piuttosto però che soffermarci sui successivi incontri di Dog e del Robot, ci piace sottolineare il fatto che la fervida inventiva di Pablo Berger, cui anche qui per brillare non sono necessarie parole, dialoghi, semmai una colonna sonora strepitosa (sia per i brani musicali abilmente inseriti in tale conteso che per l’eccellente sound design), riesce ad affrescare di continuo irresistibili siparietti umoristici. Ogni specie animale, ritratta in forma antropomorfa, anche qualora faccia solo una breve comparsata nel racconto a modo suo lascia il segno: nei vivaci disegni simili a vignette umoristiche (ma animati con brio) possono quindi figurare avvoltoi dediti all’usura come poco rassicuranti alligatori intenti a gestire uno sfasciacarrozze, luogo che non poca importanza avrà nel prosieguo della narrazione. Il mondo coloratissimo ma a tratti ansiogeno che ne deriva assorbe così le più disparate emozioni, assieme un citazionismo che non è mai fine a se stesso: vedi, ad esempio, l’intelligente ed emblematica parafrasi onirica de Il Mondo di Oz.
Stefano Coccia