Home AltroCinema SpazioItalia Riverbero

Riverbero

415
0
VOTO: 7,5

Schegge di luce, frammenti di memoria

Frammentario, sperimentale, ricco di particolari risonanze emotive, Riverbero di Enzo Iannaccone farà capolino sabato 5 ottobre al Cinema delle Provincie (ore 20.30) per una premiere romana, che avrà luogo alla presenza del cast e sarà moderata da Antonio Cuomo di Movieplayer. Poi il film, distribuito da Double Line, proseguirà quell’avventuroso, tortuoso percorso tra festival cinematografici e presenze in sala, cui molte piccole produzioni sono costrette. Un’occasione da non perdere, quindi, per il pubblico capitolino, quella che oggi proporrà all’attenzione dei più volenterosi un lungometraggio breve nella durata (appena un’ora) ma estremante intenso, sia nell’introduzione in scena dei personaggi che nella costruzione attorno a loro di stranianti atmosfere.

Girato in soli nove giorni con un iPhone 14 Pro da Enzo Iannaccone, già autore di altri lunghi ma celebrato soprattutto per i suoi cortometraggi, tra i quali spicca L’esecuzione vincitore del David di Donatello nel 2013, Riverbero si configura quale teorema sulla percezione visiva fatto di reminiscenze e di stati allucinatori, di ellissi e di presenze estremamente materiche, di introspezione e di minacciosa fisicità; nonché di quei sogni, aspirazioni e incubi, attribuiti ai due protagonisti, che appaiono sovente relegati a un fuori campo evocato da scelte formali sempre molto precise, accurate.
Protagonisti dello scheletrico plot (che lascia però intravvedere in filigrana un virtuale “storytelling” dolente e stratificato) sono un ragazzo in procinto di perdere la vista (e di compiere, quasi conseguentemente, atti estremi), in quanto sofferente di maculopatia degenerativa, ed una giovane madre allo sbando salvata dal primo al termine di una selvaggia aggressione in strada. Insomma, due esistenze borderline, fragili e disperate, unite da quella sfuggente linea narrativa che saprà offrire loro un oltremodo precario senso di condivisione e di resilienza.

Valida è senz’altro la scelta degli interpreti principali. A partire naturalmente da Renato De Simone, attore campano che viene dal teatro, la cui andatura dinoccolata conferisce assieme allo sguardo spiritato, reso ancor più inquietante dall’ingombrante montatura degli occhiali, un piglio inconfondibile e una nevrosi costante. Quasi altrettanto impulsiva, nevrotica, stralunata, la recitazione di Anna Carla Broeg, dotata pure lei di una forte presenza scenica. Entrambi però sono anche ideali “marionette” di quel gioco più grande di loro, tendenzialmente psicomagico, orchestrato da una regia che attraverso il loro incontro intende suggerire, sfumando tutto ciò in inserti quasi subliminali e sequenze dichiaratamente oniriche, un continuo sovrapporsi di conflitti irrisolti, paure, desideri di fuga, conturbanti assenze. E la velocità stessa del film muta di conseguenza, alternando rapidi montaggi di scene pressoché psichedeliche e sequenze più contemplative, “stagnanti”, persino un po’ ossessive come quell’interminabile camera car che racchiude in fondo la scelta eticamente più rilevante del protagonista maschile.

Stefano Coccia

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

2 × due =