Home AltroCinema Mondovisioni Nuits blanches sur la jetée

Nuits blanches sur la jetée

141
0
VOTO: 9

Inseguendo quel fantasma

Nulla è più denso, pregnante, ma al contempo massimamente sfuggente, del sentimento amoroso. Ne era consapevole Fëdor Dostoevskij quando nella metà dell’Ottocento scrisse il romanzo breve “Le notti bianche”; ne ha fatto un pilastro della propria poetica cinematografica Paul Vecchiali, ispiratosi proprio al testo del romanziere di San Pietroburgo per il suo Nuits blanches sur la jetée, ovvero Notti bianche sul molo. E raramente l’ipotesi di amore ha conosciuto una declinazione così magicamente affabulatoria come nell’opera di cui ci accingiamo a scrivere, senza peraltro nascondere il godimento morale ed intellettuale che la sua visione ci ha provocato.
L’essenza del film si riconduce da subito a quella del testo letterario ispiratore. Un uomo e una donna si incontrano casualmente nottetempo sul molo del titolo, luogo astratto e simbolico se mai ce ne è stato uno. La donna ha difficoltà a respingere le pesanti avances di un vecchio – interpretato dallo stesso regista Paul Vecchiali – che con tutta probabilità ha con malizia frainteso i contorni della solitaria passeggiata notturna di lei. L’uomo sopraggiunge, mettendo in fuga l’anziano. Da un probabile malinteso ne nasce un altro, assai più sfaccettato. Comincia infatti tra i due personaggi, non a caso di nome Fédor e Natasha, l’inseguimento verbale di un miraggio lontano, quello dell’amore puro e totale, scevro da qualsiasi incomprensione frutto delle umane debolezze. Quattro notti per parlare, raccontarsi, forse conoscersi. E solamente allora riflettere su da farsi.
Nuits blanches sur la jetée non fa nulla, appunto, per nascondere la propria matrice letteraria; anzi la esibisce orgogliosamente riuscendo non solo nel miracolo di non renderla per nulla pedante, ma anche di donarle la leggiadria di una ricognizione filosofica sui massimi sistemi realizzata in punta di cinepresa. Lei si fa promettere da lui che non si innamorerà, Fédor acconsente. Lietamente conscio di mentire. Il punto di partenza di ogni rapporto sentimentale nasce, in fondo, dalla menzogna di una promessa pressoché impossibile di eternità. Il metaforico vicolo imboccato dai due sembra senza uscita: entrambi vedono nell’altro la proiezione inattuabile del partner ideale. Natasha ha amato e forse ama tutt’ora un uomo del tutto disinteressato a lei. Fédor, al contrario, contempla con dolceamara rassegnazione, il proprio vuoto esistenziale. Una zona franca che egli stesso si è creato attorno, inconsciamente spinto dall’affetto verso una pseudo-matrigna – donna mai sposata al padre –  che moltissimo ha fatto per lui in passato nel momento in cui è rimasto orfano di entrambi i genitori.
Come sovente accade in una simile connessione di sentimento/i l’uomo acconsente all’amicizia, sperando che si tramuti nel tempo in qualcosa di differente. Mentre la donna tiene le fila del gioco. Perché altro non è che questo: un continuo rimpiattino un po’ infantile tra timori di non essere all’altezza, di provare una felicità sin troppo marcata e di cadere poi da altezze troppo siderali per rimanerne, anche solo in parte, indenni. Il cineasta di Ajaccio, ormai ottantacinquenne, sin dai tempi di Encore (1988) – cronaca di un travolgente amore omosessuale maschile, dove persino il terribile virus dell’HIV poteva essere considerato un dono d’amore – e ben prima, racconta del sentimento come di un’astrazione effimera, fallace, del tutto consona alla nostra natura mortale. E tuttavia capace di inondare di gioia chi ne riesce ad assaporare i momenti migliori. La morale di Nuits blanches sur la jetée, sistema dal finale più che mai “aperto” nonché perfettamente servito da due interpreti sublimi come Astrid Adverbe (Natasha) e Pascal Cervo (Fèdor), è tutta qui: non è una commedia, non è un dramma. O perlomeno non si fonda solamente su uno dei due aspetti. Definiamola semplicemente vita, messa sotto la lente d’ingrandimento di un’Arte – che si tratti di cinema o letteratura poco importa – che aiuta a leggere in controluce ciò che magari potremmo colpevolmente lasciar scivolare via nell’indifferenza. Come afferma Fédor ad un certo punto del film: “Se anche lei (Natasha) non dovesse più tornare qui sul molo, io avrei pur sempre un ricordo da custodire“. La dolcissima illusione di essere appartenuti ad un irripetibile momento di magia, di quelli in grado di rendere immensa l’altrimenti inconsistente statura umana nella vastità indefinibile dell’universo.

Daniele De Angelis

Il film è visibile sulla piattaforma online The Open Reel.

Articolo precedenteLos tontos y los estúpidos
Articolo successivoOltreCinema (1): Passato e Futuro

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

diciannove − 13 =