Una fidanzata per papà
Presentato nel Concorso Lungometraggi Finestre sul Mondo del 28° Festival Cinema Africano, d’Asia e America Latina, No Bed of Roses (Doob il titolo originale) è un film del Bangladesh del regista Mostofa Sarwar Farooki. Si tratta di una lunga storia famigliare, fatta di separazioni e riunificazioni, che si dipana in un lungo arco temporale, tra continui flashback e flashforward, dove protagonista è un regista affermato – interpretato da Irrfan Khan, uno dei più importanti attori indiani con anche una carriera internazionale di rilievo – con due figli, che si separa dalla moglie per intrattenere una relazione con una donna molto più giovane, più o meno dell’età di sua figlia, cosa che genera scandalo. Non un film autobiografico come potrebbe sembrare, vista la professione di regista del protagonista, bensì ispirato liberamente alla vita del popolare regista, scrittore, intellettuale bengalese Humayun Ahmed.
Mostofa Sarwar Farooki usa una narrazione che potrebbe ricordare quella del collega giapponese Hirokazu Kore’eda, che preferisce indugiare non sul sasso che cade sullo stagno quanto sulle increspature della superficie d’acqua che questo ha generato, non sugli eventi traumatici in sé quanto su come questi si sedimentino nelle vite che in quegli eventi sono coinvolte. Sono così smussate le punte drammatiche, non vediamo i momenti chiave della rottura della relazione tra il protagonista e la moglie, ma ci vengono suggeriti da una serie di cose, tra cui il titolo del giornale che parla di scandalo. E nemmeno vediamo la scena della morte, né capiamo come sia avvenuta. In fondo questa era anticipata da una battuta che diceva che quando la gente muore è perché è diventata irrilevante agli altri, oppure perché è il mondo a essere diventato irrilevante per chi muore. Il concetto di irrilevante è in effetti il perno su cui funziona il film. Mentre un’altra discussione, relativa al rievocare troppo il passato è pure applicabile alla struttura narrativa del film che oscilla tra piani temporali diversi, avendo come fulcro, cui sempre si torna, il teatro dell’edificio scolastico, dove ci sarà il saggio per la festa della scuola.
La regia di Mostofa Sarwar Farooki si rivela molto sofisticata, ricca di preziosismi. Predominano le carrellate laterali e le panoramiche a schiaffo. Una di queste all’inizio guida a un primo salto temporale, la mdp che dai volti delle ragazze adulte carrella verso le stesse più giovani, in pianosequenza. E alla fine un’altra carrellata passa da una stanza a un’altra dove si svolge un funerale, facendo capire che quel movimento di macchina è un raccordo temporale all’interno del quale è avvenuta la morte del personaggio. Due esempi di montaggio proibito, di stacchi narrativi senza stacchi dell’inquadratura, soluzione che peraltro comporta una notevole organizzazione dello spazio profilmico, come spostare, sistemare gli attori durante il tempo del fuoricampo. Poi il film abbonda di immagini sospese, inquadrature secondarie, con varie funzioni. Per esempio il ritratto del padre con la figlia felici mentre lei se ne va furiosa. Ritratti poi perseguiti anche sui personaggi, incorniciati da vari elementi. Le finestre-aperture nello schermo legate tra loro da rapporti di simmetria e specularità. Il riflesso sul vetro della macchina che diventa pure uno schermo secondario. La visione di una scena dall’esterno, dalla finestra, con mdp instabile, come a suggerire una visione voyeuristica. Una complessità di movimenti cinematografici che accompagna e moltiplica le circonvoluzioni architettoniche della casa principale, contorta alla Escher tra scale e vetrate. Si tratta però di formalismi vuoti che non coinvolgono, non creano empatia con i personaggi bensì distacco, che non sono organici al film che alla fine annega in questi estetismi fini a se stessi.
Giampiero Raganelli