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Mistero a Crooked House

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VOTO: 7

Spettacolari tramonti borghesi

Curioso che, ancora nel 2017, per gustarsi al cinema un giallo come si deve sia necessario ricorrere alla trasposizione di un romanzo di Agatha Christie. In realtà la cosa dovrebbe stupire sino ad un certo punto, accertata oltre ogni ragionevole dubbio la maestria di scrittura della giallista per eccellenza nel panorama letterario: si prende un suo testo, si estrapolano i momenti narrativi salienti, si adattano al grande schermo ed il gioco è fatto. Mistero a Crooked House – dal best seller “Crooked House”, nella versione italiana “E’ un problema” – non brilla ovviamente per particolare originalità, presentando la reiterazione di alcuni stilemi della scrittrice nativa di Torquay; e tuttavia funziona bene almeno su un paio di livelli. Il primo è quello del genuino intrattenimento. Ambientazione tipicamente british post secondo conflitto mondiale, enorme magione isolata nella campagna, svariati personaggi di una famiglia straordinariamente ricca ma in piena decadenza morale. Il patriarca ottuagenario muore. La nipote, la più sveglia della compagnia sorellina a parte, sospetta un omicidio e chiama ad indagare una sua vecchia fiamma, passato da Scotland Yard all’investigazione privata causa pesante eredità paterna. Il consueto, classico intrigo da dirimere, visto che, nell’ambito dell’ampio parentado, ognuno avrebbe avuto i suoi bravi motivi per eliminare l’anziano riccastro, peraltro invischiato, nel corso della sua vita, in affari a dir poco equivoci tra servizi segreti e politica.
Mistero a Crooked House – peraltro nobilitato da un ottimo cast in cui spiccano i nomi di vecchie e nuove glorie come Glenn Close, Terence Stamp, Gillian Anderson e Christina Hendricks – riesce senz’altro a mettere lo spettatore nella condizione di godersi un’evoluzione narrativa ispirata al caro, vecchio, principio del whodunit. Chi sarà mai il colpevole? Gli indizi vengono disseminati con cura, il pubblico si immedesima con la figura dell’investigatore (il giovane figlio d’arte Max Irons) proteso a risolvere il mistero anche per ragioni sentimentali e il giochino funziona in modo freddamente elegante, senza mai far scendere il livello d’attenzione. Ma Agatha Christie non sarebbe lei se non venisse esaltato anche il suo lato più “politico” e per certi versi satirico, quello della messa alla berlina della classe alto-borghese da lei così vituperata d’abitudine nei suoi romanzi. Arriviamo dunque al secondo livello di lettura. La galleria di mostri che abita casa Leonides (dal nome di origine greca del patriarca), cui la sceneggiatura dell’esperto Julian Fellows – ormai da considerare un tutt’uno con i film in costume girati in Inghilterra – non lascia infatti molto spazio alla speranza di tempi migliori. Puntuale arriva così la scudisciata finale, con la sorprendente rivelazione del colpevole, dopo accumulo di false piste, che lascia in chi guarda un surplus di amarezza in grado di fare da perfetto contraltare al “divertimento” di genere sino ad allora proposto. Anche la scelta di un in fondo modesto esecutore come il francese Gilles Paquet-Brenner – ricordiamo il suo penultimo lavoro, il tutt’altro che eccelso Dark Places con Charlize Theron – in cabina di regia rientra dunque a pieno titolo nella dimensione di un rispetto assoluto del testo di partenza. Della serie: abbiamo a disposizione l’opera della più grande scrittrice di genere conosciuta, non resta che adeguarci alla sua parola scritta, evitando improbabili slanci autoriali, per realizzare un lungometraggio più che dignitoso.
Missione compiuta.

Daniele De Angelis

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