La strana coppia di Buenos Aires
Mi obra maestra (nella versione italiana Il mio capolavoro), visto al Festival Cineuropa 32°, segna la momentanea separazione del regista Gastón Duprat dal collega Mariano Cohn, con cui aveva co-diretto ben cinque pellicole (e con la sesta in fase di realizzazione). Due di queste collaborazioni erano state ampiamente applaudite e premiate, e cioè El artista (2008) ed El ciudadano ilustre (2016). Mi obra maestra, sceneggiato da Duprat con il fratello Andrés, sembra essere un compendio delle due opere appena citate. Da un lato ritorna un artista irriverente e scorbutico, e dall’altro la pittura. Ugualmente, questa opera in solitaria di Duprat, recupera dalle precedenti il ritmo e i colori della commedia mischiati con un tocco drammatico di ponderazione. L’immaginario pittore Renzo Nervi, in passato glorioso artista e adesso trasformatosi in un arrogante fantasma della sua antica fama, è la sintesi di molti artisti che amano crogiolarsi nella loro (ex) gloria. Per definire velocemente il tenore dell’humour esplodente della pellicola, si potrebbe benissimo prendere la sequenza in cui Nervi entra nella galleria d’arte di Arturo (Guillermo Francella) e repentinamente spara due colpi di pistola su un suo quadro, commentando con sagacia che così l’ha trasformato in arte contemporanea.
Mi obra maestra inizia con un tocco documentaristico, in cui una guida espone ai visitanti un quadro di Nervi. Attraverso commenti pertinenti e tecnici sull’opera, la macchina da presa stringe sulla pittura e invita i visitanti – e quindi gli spettatori del film – a guardare attentamente l’opera, per coglierne le sfumature e le tecniche utilizzate. Questa introduzione dai toni accademici, che successivamente saranno ribaltati e finanche parodiati, è un cristallino omaggio che Duprat riserva all’arte visuale, sovente poco approfondita e apprezzata con lo sguardo da chi visita le esposizioni. Reso l’omaggio dovuto all’arte, la pellicola prende veramente l’avvio, attraverso un lungo e misterioso flashback raccontato da Arturo, che ci vuole rendere partecipi di questa particolare storia. Da questo momento, dopo un’ulteriore discettazione seria – un’ode alla città di Buenos Aires (più similare a quella di Steve Martin in Pazzi a Beverly Hills che all’Allen di Manhattan) –, la pellicola ha una prima parte molto scoppiettante, con colorite sequenze comiche che hanno come fulcro il personaggio di Nervi, magnificamente impersonato da Luis Brandoni. I suoi sarcastici commenti sull’arte, la gente e la vita, dietro l’irriverenza buffonesca celano una seria disamina della realtà quotidiana. Non sarebbe errato definire questo Nervi un contemporaneo Fool shakespeariano, che attraverso gli epiteti traccia l’essenza del mondo che lo circonda. Peccato che questo divertente ritmo si perda nella seconda parte, in cui viene dato spazio al momento drammatico. Anche la fotografia si ammanta di colori grigi e la cadenza si appiana, con un accenno anche al delicato tema dell’eutanasia. È una brusca frenata non tanto per il cambio di registro, ma nel rivelarsi una soluzione di racconto troppo posticcia, come il flashback che incornicia la storia. Nelle battute finali Duprat recupera l’aspetto scanzonato, però quello che fa prevalere, e con cui vuole suggellare questa narrazione, è il tema della forte amicizia che lega questa strana coppia di personaggi agli antipodi.
Roberto Baldassarre