Se c’è un autore del tutto incapace di lasciare indifferente il cinefilo – persino nella visione ridotta sul piccolo schermo casalingo – questi risponde al nome di Lars von Trier. Il destino del cineasta danese è, del resto, quello di dividere tra due fazioni opposte sia la critica che gli appassionati: i detrattori gli hanno sempre rimproverato gli intenti provocatori, una presunta “rottura delle regole” cinematografiche (vedere ad esempio il celebre manifesto del Dogma, con annesse regole da lui dettate per essere poi infrante…) troppo autoreferenziale e fine a se stessa; paradossalmente gli ammiratori lo idolatrano per le medesime ragione, riconoscendone il coraggio nel nuotare controcorrente in un universo – quello del cinema – in cui diventa sempre più difficile mantenere un alto profilo autoriale ed al contempo ignorare le ferree regole del botteghino. L’uscita in dvd – ad opera della 01 Distribution – della sua ultima fatica, quel Melancholia presentato tra le polemiche al Festival di Cannes 2011 a causa delle ambigue dichiarazione su Hitler del regista, potrebbe quindi contribuire a fare il punto della situazione sullo status della poetica vontrieriana, anche perché si tratta di un’opera “definitiva” non solo per la tematica affrontata ma anche esemplare di un modus operandi in continuo divenire nel corso degli anni e delle pellicole.
Gettandosi senza rete in un giudizio per forza di cose sintetico su un lungometraggio che affronta argomenti a dir poco pregnanti quali la difficoltà del sentimento nella realtà contemporanea, la decadenza borghese e da ultimo la possibile fine del mondo causa la collisione della Terra con il fantomatico asteroide che fornisce il titolo al film, verrebbe da definire Melancholia come il parto creativo di un “genio dal pensiero debole”. Un artista che ha ormai raggiunto una perfezione formale da far invidia ai grandissimi della Settima Arte e non solo – si ammirino, a puro titolo esemplificativo, quella sorta di tableux vivants che vanno a comporre l’incipit dell’opera – ma che non riesce ad uscire da un certo schematismo a livello di contenuto, reiterando all’infinito alcuni concetti già ampiamente sviscerati in opere precedenti. La donna vista come essere assolutamente inconoscibile nella propria essenza, e perciò pericolosa per l’imprevedibilità irrazionale quasi ferina dei suoi comportamenti, pareva un discorso già abbondantemente esaurito nel controverso Antichrist, tanto suggestivo quanto masturbatorio excursus su sensualità e morte. Un limite oggettivo al quale fanno però da contraltare due ritratti femminili – che non a caso dividono il film in due parti nette, tramite una cesura facilmente distinguibile – che restano nella memoria in primo luogo per la bravura delle due interpreti Kirsten Dunst e Charlotte Gainsbourg, disponibilissime a calarsi senza remore nei tormentati personaggi di due sorelle dall’esistenza molto differente e dalla personalità in apparenza contraddittoria ma in fondo intercambiabile. Perché nel cinema di von Trier la donna resta sempre una e, a dir poco, trina, creatura assieme dolce e mostruosa a partire dalla Bess McNeill dell’indimenticabile Le onde del destino (1996) fino alla Grace Margaret Mulligan di Dogville (2003), solo per citarne un paio.
Melancholia rimane dunque un grandioso affresco imperfetto, dove convivono in maniera evidente ma al contempo inscindibile pesantezze di messaggio sin troppo palesi (la prevedibile tirata anti-capitalista espressa tramite lo scontato personaggio interpretato dal fido Stellan Skarsgård, il datore di lavoro di Justine/Kirsten Dunst) ed una leggerezza di toni che incanta, messa in mostra soprattutto nella prima parte, quella dedicata alla festa di matrimonio, dove i toni si fanno in alcuni momenti così teneri ed affettuosi da far sembrare l’insieme quasi un happening del cinema vontrieriano. Salvo poi veder infliggere dal regista i consueti, ironici ma acuminati, colpi di stiletto ad una classe sociale – quella alto-borghese, appunto – verso cui von Trier si dimostra ancora una volta ben lungi dal voler chiudere i conti.
Arricchito da due brevi ma significativi speciali come contenuti extra, l’ultima ambiziosissima fatica di Lars von Trier è opera comunque da vedere: sia per la sua relativa facilità di fruizione a livello narrativo ma anche per come riesce a mescolare fluidamente il Caos universale ad una serie infinita di piccoli/grandi drammi privati, sino ad arrivare ad abbattere qualsiasi sovrastruttura sociale. Alla fine rimane nella memoria il ritratto di una “piccola” umanità confusa e spaesata, ma in grado di trovare il modo di suggellare la propria contraddittoria epopea con nobiltà.
Al pari di un film intitolato Melancholia.
Daniele De Angelis
Regia: Lars von Trier
Cast: Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland
Durata: 130 minuti
Lingue: italiano, inglese Sottotitoli: italiano
Distribuzione: 01 Distribution